Coronavirus, gli operatori sanitari bocciano la gestione dell’emergenza in Piemonte
Molte criticità nel sondaggio di Anaao Assomed e Nursind tra quasi 2mila medici, infermieri e oss. Solo il 32,9% dice di aver ricevuto protezioni adeguate: poche quarantene preventive, troppe attese per i tamponiVoto 5 nella ‘prova’ Covid-19: se la sanità regionale fosse sui banchi di scuola, i lavoratori l’avrebbero già rimandata a settembre. La bocciatura arriva da un sondaggio sulla gestione ospedaliera dell’emergenza epidemiologica effettuato dal sindacato medico Anaao Assomed e da quello infermieristico Nursind: “I sanitari hanno lavorato in carenza di DPI, non hanno fatto la quarantena preventiva, numerosi sono risultati positivi ed hanno comunque atteso giorni per eseguire il tampone” denunciano le due organizzazioni.
Al sondaggio, aperto dal 27 aprile all’8 maggio, hanno risposto 1930 operatori sanitari, rappresentativi di tutte le Asl e gli ospedali del Piemonte. Di questi il 70% sono infermieri, il 16,5% medici e l’8% Oss. Il 79% di coloro che hanno risposto ai quesiti lavora o ha lavorato nei reparti Covid e il 59% ha fatto il tampone: a questi si devono aggiungere un 1,83% dei sintomatici e un 3,14% di quanti sono stati a contatto stretto senza protezioni con pazienti Covid che non l’hanno invece eseguito.
L’indicazione di eseguire il tampone è arrivata per il 22% del campione a seguito di un contatto stretto senza adeguate protezioni con colleghi che avevano contratto il virus, mentre per il 34,4% è giunta a seguito di un contatto stretto con i pazienti. In totale, oltre il 56% degli operatori ha eseguito l’esame a causa di contatti stretti in carenza di protezione: “Questo dato - sottolineano le due sigle sindacali - è significativo della grave difficoltà, soprattutto nelle prime settimane del contagio, di ottenere adeguati DPI. Fatto che, come da noi ripetutamente sostenuto, ha trasformato i luoghi di cura in luoghi di contagio”.
Il 77% degli operatori ha continuato a lavorare in attesa dell’esito del tampone, come prevede l’art. 7 del DPCM del 9 Marzo, che esclude i sanitari dalla quarantena preventiva. I promotori del sondaggio fanno notare come questa circostanza, unita al fatto che ben il 18% degli operatori sottoposti a tampone è risultato positivo, chiarisca bene “come nelle strutture sanitarie sia venuta a mancare, a causa di una criticatissima scelta politica nazionale, una reale tutela della salute dei lavoratori e contestualmente come questa scelta possa aver favorito la diffusione del contagio”.
La successiva sorveglianza sanitaria degli operatori con tampone positivo, si rileva inoltre, è mancata nel 54% dei casi. Solo il 36% dei rispondenti ha eseguito il tampone come da protocollo regionale, ovvero immediatamente se sintomatici o dopo 3 giorni dall’avvenuto contatto con un Covid positivo: il 27% ha atteso tra i 5 e i 10 giorni, il 12,9% ha atteso oltre 10 giorni e il 20,9% oltre 2 settimane. Se consideriamo solo i sanitari che hanno sviluppato i sintomi a domicilio, e che quindi sono stati presi in carico dal SISP e non dal medico competente, i tempi d’attesa per l’esecuzione dell’esame aumentano ulteriormente: il 24,8% ha atteso oltre le due settimane, per un totale del 41,27% che ha atteso più di 10 giorni. L’attesa per ottenere l’esito del tampone è stata inferiore, sebbene il 9% degli interessati abbia dovuto aspettare 4-5 giorni e l’8% addirittura oltre i 5 giorni.
Le conseguenze, com’è ovvio, si sono estese anche alle famiglie dei positivi o dei sospetti contagiati. Ma è mancato tutto il lavoro di ricostruzione e test ai contatti: l’89% dei positivi dichiara infatti che non è stato fatto alcun tampone ai propri familiari. Alla fine, l’8,7% dei sanitari contagiati ha avuto a sua volta un familiare malato di Covid-19. Il 39,2% del personale ha scelto di dormire in stanze o case separate proprio per diminuire il rischio di esporre i propri affetti all’epidemia.
Tema cruciale quello dei dispositivi di protezione individuale, mascherine e non solo, fondamentali per gli operatori sanitari nel loro lavoro quotidiano. Solo il 32,9% del personale dichiara di aver ricevuto DPI adeguati, mentre il 56,5%, oltre la metà, solo in parte. Infine il 10,5% afferma di non aver ricevuto dispositivi adeguati. A coloro che hanno detto di aver ricevuto DPI non adeguati, è stato chiesto di precisare perché si considerasse tale la fornitura: il 73,9% ha parlato di un numero insufficiente di dispositivi, con conseguente necessità di riutilizzo di quelli in dotazione. Il 33,9% invece ha risposto che mancavano le mascherine ad alta protezione FFP2 e FFP3 e infine il 26,6% afferma di aver dovuto trovare soluzioni tampone, come ad esempio sacchi dell’immondizia per assenza di fornitura adeguata. Da rilevare inoltre che quasi la metà dei rispondenti, il 45,4% ha risposto di aver ricevuto materiale poi ritirato perché non conforme: “Non sappiamo se il materiale sia stato utilizzato, per quanto tempo e se il personale fosse adeguatamente protetto” commentano Anaao Assomed e Nursind.
Un altro aspetto particolarmente significativo nella propagazione del virus all’interno delle strutture ospedaliere è la distinzione tra percorsi ‘sporchi’ e ‘puliti’: le strutture sono diventate focolai di infezione anche e soprattutto per questa criticità. Il 58,75% degli intervistati ha risposto che questi percorsi non erano ben differenziati, un dato altissimo se si pensa alle conseguenze che tale problematica ha rappresentato. Carente anche la formazione sul corretto utilizzo dei DPI, sulla gestione dei percorsi ed in generale sulle precauzioni da avere durante il lavoro per minimizzare i rischi di contagio, che secondo le linee guida dell’ISS doveva essere prevista obbligatoriamente in tutti gli ospedali: solo il 49,29% degli operatori intervistati afferma che l’azienda ha previsto corsi di formazione per il corretto e adeguato utilizzo di DPI. Il 36,34% dice che non sono stati previsti e il 14,28% addirittura di non esserne a conoscenza.
C’è infine la questione della comunicazione di decisioni strategiche agli operatori: per il 34,8% dei rispondenti l’azienda non ha informato il personale di protocolli, linee guida, riorganizzazioni interne dei reparti, indizio sicuro - sottolineano i sindacati - di inefficienza nel comunicare con i propri operatori.
Alla luce di tutte le difficoltà fotografate, i sanitari hanno dato un voto in media piuttosto basso alla propria azienda riguardo alla capacità di affrontare e gestire l’emergenza coronavirus: per il 62,56% dei 1930 medici, infermieri e Oss il giudizio è insufficiente, mentre il 18,20% assegna la sufficienza e appena il 19,25% promuove la sanità con un voto uguale o superiore al sette.
Andrea Cascioli
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