Fenomeno del ritiro sociale: dopo la pandemia sono aumentati i casi tra gli adolescenti anche nel Cuneese
A Cuneo negli scorsi anni era stato avviato un progetto per aiutare i giovani che soffrono di isolamento. Tra i primi segnali la diminuzione della frequenza scolasticaSempre più giovani anche nel Cuneese soffrono del fenomeno del ritiro sociale. Prende il nome di “hikikomori”, è un termine giapponese e letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”. Ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni ’80 in Giappone, ma i casi stanno aumentando anche in altri Paesi del mondo, compresa l’Italia. Secondo i dati di Hikikomori Italia, i casi a livello mondiale sono oltre un milione e, di questi, quasi centomila sono i giovani hikikomori nel nostro Stato.
Può manifestarsi in diversi modi e, in generale, è la tendenza a ridurre sempre di più le relazioni amicali e la frequentazione di contesti scolastici e sociali fino all’isolamento e all’auto-esclusione dal mondo esterno. “Da dopo la pandemia c’è stato un aumento anche nella zona di Cuneo. Tanti ragazzi con l’avvento del lockdown hanno tirato un sospiro di sollievo perché non potevano andare a scuola, ma con il ritorno in classe in molti hanno fatto fatica a riprendere la vecchia routine”, spiega Enrico Santero, counselor della cooperativa sociale Emmanuele Onlus di Cuneo.
Il fenomeno del ritiro sociale è molto diffuso tra gli adolescenti, ma non ha caratteristiche rigide e stabilite, anzi, ogni situazione è molto soggettiva, anche se sono rintracciabili alcune peculiarità ricorrenti. “L’impressione è che ci sia una situazione sommersa. Tra i primi segnali c’è la diminuzione della frequenza scolastica. A quel punto spesso i ragazzi e le ragazze hanno già lasciato tutte le altre attività che frequentavano prima, come lo sport, gli amici, l’oratorio. Si può evidenziare inoltre in molti casi un crollo del rendimento scolastico”. Ma possono giocare un ruolo anche tantissimi altri fattori singoli o simultanei, come un carattere chiuso e non esuberante, relazioni difficili con i coetanei, situazioni di prevaricazione, problemi familiari. “Un ostacolo a volte sono anche gli interessi personali. Se sei un ragazzo e non sei appassionato di calcio o di determinati videogiochi a una certa età, gli argomenti di discussione diventano pochi ed è possibile sentirsi esclusi”.
La cooperativa Emmanuele negli anni scorsi aveva avviato il progetto sperimentale Hikikomori. “Era un’iniziativa di intercettazione precoce, non estesa a tutti, ma che cercava di fornire una risposta mirata e preventiva. Abbiamo accompagnato otto ragazzi, creando una rete con i servizi sociali, il reparto di neuropsichiatria infantile e le scuole”. In tre casi, grazie alla segnalazione della scuola, al supporto della famiglia e al lavoro di un educatore, tre ragazzi sono stati indirizzati a centri di aggregazione giovanile. Negli altri, invece, “non si è riusciti a portare il ragazzo alla frequentazione del contesto di gruppo, ma tutti sono tornati a scuola”. Il progetto si è concluso ad aprile 2023 e non ha più ricevuto finanziamenti.
Recentemente in Piemonte è stato avviato il progetto 9 ¾, grazie al sostegno del Gruppo Abele, per offrire supporto ai giovani che vivono reclusi nella propria stanza. Sono coinvolte 105 persone solo nel torinese, l’iniziativa infatti non è estesa alla provincia Granda per ora. Di queste, l’80% è di sesso maschile, l’età media è di 20 anni e su 105 persone 29 sono minorenni. I dati del progetto confermano quella che sembra essere la tendenza generale: il ritiro sociale colpisce più gli uomini delle donne.
Il fenomeno però non riguarda unicamente gli adolescenti, ma può coinvolgere anche gli studenti e le studentesse delle scuole primarie e gli over 30. È un fenomeno difficile da stimare a livello numerico perché non è come altre patologie per cui si contano gli accessi agli ospedali e si riesce precisamente a tener conto dell’andamento temporale. Quello che è certo è che c’è stato un incremento a livello mondiale dopo la pandemia. “Abbiamo potuto verificarlo anche noi a Cuneo”, conferma Santero.
Importante è avere una rete di supporto, che sostenga il ragazzo o la ragazza che attraversa un momento di debolezza e difficoltà. In questo contesto giocano un ruolo fondamentale la famiglia e la scuola, che possono fare attenzione ad alcuni campanelli di allarme. Tra i primi il rifiuto di andare a scuola, il distacco dalla rete abituale delle amicizie, l’inversione del ciclo sonno-veglia e la connessione costante ed eccessiva con il mondo virtuale. “Come genitori, se ci si accorge della sofferenza dei figli, è possibile chiedere un appuntamento alla neuropsichiatria infantile dell’ospedale. È importante anche costruire una rete con gli insegnanti. Certo è che deve esserci anche una grande collaborazione da parte degli insegnanti. Molti lavorano già in modo indipendente creando laboratori sul rispetto della diversità, sulla convivenza, sulla collaborazione rispettiva tra pari. L’obiettivo deve essere sempre quello di cercare un dialogo e di creare una rete di sostegno per far fronte nel minor tempo possibile alle situazioni di disagio”, conclude Santero.
Micol Maccario
CUNEO cuneo