Il personale femminile è ancora sottorappresentato nei posti di lavoro nel Cuneese
Ci sono però anche dati positivi: quattro Comuni registrano il 100% delle donne impiegate. A Cuneo, quarta tra i capoluoghi di provincia, la percentuale si ferma al 76,5%In Italia lavorano ancora poche donne rispetto alla media dell’Unione Europea. E la situazione si aggrava se si guarda la condizione in cui si trovano le madri con un figlio, dove il tasso di occupazione è pari al 62,6% rispetto al 76,2% europeo (dati del 2022). Nella giornata internazionale della donna è bene ricordare che i progressi per raggiungere la parità sono ancora molto lontani, soprattutto in alcuni settori come quello lavorativo.
L’Italia appare divisa in due: nel settentrione il 73,4% delle donne tra i 25 e i 49 ha un’occupazione, dato che scende al 47,1% nei territori del sud (meno di una donna su due). A livello regionale, il Trentino-Alto Adige è la regione con la percentuale di donne maggiore (78,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (75,5%) e dalla Lombardia (73,9%). In fondo alla classifica, invece, ci sono Calabria (46,5%), Campania (43,3%) e Sicilia (42,1%). La stessa tendenza si evidenzia a livello comunale, confermando il profondo divario tra nord e sud.
Il comune di Cuneo realizza un ottimo punteggio, risultando quarto a livello nazionale tra i capoluoghi di provincia per numero di donne che lavorano. Però la situazione non è uguale in tutta la Granda. Secondo i dati di Openpolis disponibili gratuitamente sul loro sito, sono venticinque i comuni del Cuneese in cui l’occupazione femminile (tra i 25 e i 49 anni) è sotto il 65%. Fanno parte di questo gruppo cittadine tendenzialmente piccole, come Brondello, Casteldelfino, Castelmagno, Caprauna e Monterosso Grana. In particolare, al fondo della classifica – con appena il 50% delle donne occupate – ci sono Briga Alta, Macra e Torre Bormida.
Guardando i dati positivi, quattro paesi hanno il 100% di donne al lavoro: Cissone nelle Langhe, Igliano nei pressi di Torino, Ostana in valle Po e Valloriate in valle Stura. Il capoluogo di provincia, invece, con 6.173 donne su un totale di 8.070 raggiunge il 76,5% di personale femminile impiegato.
Gli interventi necessari
Per favorire l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro sarebbero necessari alcuni interventi, in primis l’incremento – a prezzi accessibili – dei servizi per la prima infanzia, per dare la possibilità alle madri di non sostituire il tempo del lavoro con quello dedicato alla cura. Negli ultimi anni il numero di asili è aumentato, passando dai 22,5 posti ogni 100 bambini del 2013, agli attuali 28. Nonostante ciò, però, l’Italia è ancora sotto la soglia del 33% che era stata stabilita a livello europeo ormai ventidue anni fa.
Nel 2002, il consiglio europeo riunito a Barcellona aveva stabilito che gli stati membri devono garantire servizi per l’infanzia ad almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni e ad almeno il 90% dei bambini tra i tre e l’inizio della scuola primaria di primo grado. Gli obiettivi, poi, sono stati aggiornati dopo la pandemia, incrementando le percentuali. Secondo le ultime indicazioni, entro il 2030 le percentuali dovranno raggiungere rispettivamente il 45 e il 96%.
La correlazione tra lavoro e presenza di asili è dimostrata anche dai dati. Nei luoghi in cui c’è una presenza capillare di servizi per l’infanzia, infatti, c’è una maggiore occupazione femminile. E ancora una volta è il sud Italia a pagarne le conseguenze maggiori. Come sottolinea Openpolis, “la relazione va letta in un doppio senso: nelle aree del Paese in cui le donne lavorano di meno, cambia la percezione dell’importanza di questi servizi; dall’altra parte, essendo minori i posti disponibili negli asili nido, si riduce la possibilità di lavorare per le madri. Si crea quindi un circolo vizioso che disincentiva l’occupazione femminile in generale”.
Ma, andando ancora più a fondo, sarebbe importante ridistribuire il carico di lavoro di cura e famigliare non retribuito (pulizie della casa, cura dei bambini e degli anziani, spesa, commissioni varie), ancora oggi notoriamente sulle spalle soprattutto delle donne. L’ultima analisi Istat disponibile mostra che il lavoro retribuito occupa il 19,4% della giornata media maschile, contro il 9,9% di quella femminile. La tendenza però si inverte se si guarda il tempo dedicato al lavoro di cura e domestico: 5 ore e 13 minuti in media per le donne (21,7% della giornata), contro un’ora e 50 minuti per gli uomini (pari al 7,6% della loro giornata).
Per migliorare la situazione, quindi, servirebbero interventi dall’alto. Ma anche un cambio radicale di mentalità e abitudini. Più servizi a sostegno delle famiglie e una redistribuzione del lavoro di cura potrebbero davvero cambiare la situazione. E a beneficiarne non sarebbero solo le donne, ma l’intera società.
Micol Maccario
CUNEO lavoro