Il settore auto è nella “valle della morte”. E non è colpa della transizione ecologica
Confindustria fa il punto con gli esperti. Tra i dazi e la Cina pronta a “mollare” le auto europee, il futuro è fosco: “Il 15% delle colonnine elettriche non funziona”No, la crisi dell’auto non è colpa della transizione ecologica. O almeno non solo, perché il contestato Green Deal si è innestato su cause molto più profonde, a cui si sono aggiunte ulteriori problematiche dettate dalle scelte politiche e produttive. La crisi dei mercati europei, il crollo della produzione in Italia, una transizione rallentata all’elettrico, il ruolo della Cina e i dazi americani sono gli ingredienti di una “tempesta perfetta” abbattutasi sul vecchio continente.
Se n’è parlato questa mattina nella sede cuneese di Confindustria, durante una giornata di studi dedicata all’“Automotive: sorvegliata speciale”. “Il Green Deal non è collegato alla crisi dell’automotive” conferma il presidente e ad di Volvo Car Italia Michele Crisci. Questo perché la crisi dell’automotive in Europa nasce molto tempo prima: “Quando l’Europa ha ceduto le produzioni agli altri continenti e segnatamente alla Cina, che è arrivata ad essere il primo produttore oltre che il primo mercato mondiale per distacco”.
Produrre auto? In Italia costa troppo: “Meglio la Spagna”
Lo confermano i dati portati da Gianmarco Giorda, direttore generale di Anfia, l’organizzazione che riunisce costruttori, componentistica e produttori nei settori car design e ingegneristica auto. A fronte di un aumento della produzione globale, dai 92,94 milioni di veicoli del 2019 ai 95,70 milioni del 2024, il continente ha perso tre milioni di veicoli venduti tra il pre Covid e oggi. In Italia, dalle circa 900mila auto prodotte nel 2019 (erano tra 1,7 e 1,8 milioni a inizio anni Duemila), il mercato è sprofondato fino al dato dell’ultimo anno, poco più di 300mila pezzi: il dato peggiore da oltre mezzo secolo.
“Stellantis in questo anno ha avuto prodotti in ‘fase out’ e altri in ‘fase in’, quindi molti prodotti in Italia sono andati fuori produzione: altri sono stati introdotti, soprattutto a Melfi e Pomigliano” spiega Giorda. Gli effetti sul mercato, però, non saranno immediati: “Il 2025 sarà un anno molto difficile per questo motivo: abbiamo chiamato questi due anni la valle della morte, per quanto riguarda la produzione in Italia”. C’è poco da stare allegri, non solo perché latitano le immatricolazioni: “C’è un tema di competitività, abbiamo costi di produzione superiori ad altri Paesi europei” dice il dg dei costruttori. In Spagna, per esempio, Stellantis produce di più e l’energia costa meno. La flessibilità è maggiore e la logistica aiuta: “Costa molto di più ricevere i componenti in Italia che in Spagna”.
“È importante sgombrare il campo dal dubbio che la crisi sia legata solo alla transizione” conferma Giorda. Senza con ciò negare che la faccenda, dal punto di vista degli industriali, doveva essere gestita in maniera diversa. I produttori accolgono con favore la scelta dell’Ue di “spalmare” il target di riduzione della CO2 (-15% rispetto al 2021) su un triennio, anziché sul solo 2025: “Un sollievo per i costruttori, perché avrebbe voluto dire pagare circa 15 miliardi e produrre meno vetture endotermiche”. Il piano di azione per l’auto, però, delude gli addetti ai lavori: “Quello che chiedevamo era un fondo europeo da cui i Paesi potessero attingere per l’elettrico: in Italia l’anzianità media del parco macchine è di circa 13 anni”.
Va affrontato il tema della neutralità tecnologica, sostiene Anfia: “Il regolamento della CO2 oggi prevede il calcolo allo scarico e non nel ciclo completo. Stiamo chiedendo una metrica diversa per calcolare l’impatto non solo dal tubo di scappamento, ma in tutto il ciclo di vita. Questo darebbe un ruolo importante ai biocarburanti e ai fuel sintetici che emettono qualche grammo di CO2 allo scarico ma ne catturano durante il processo, per cui il saldo è sostanzialmente a zero”. Oltre a questo, l’elettrico va incentivato dal punto di vista degli acquirenti: “C’è una corrispondenza biunivoca tra Pil pro capite e diffusione dell’elettrico”. Detto in altri termini, le auto elettriche vendono bene solo dove gli stipendi sono più alti: “Il gap di prezzo che c’è ancora” conferma Giorda. E c’è anche un problema di infrastrutture: “Su 100 colonnine che si vedono per strada, circa il 15% non è funzionante perché manca l’allaccio o perché ci sono altre problematiche”.
La Cina ci ha già “scaricati”, l’America sta per farlo
Il fattore geopolitico schiaccia l’Europa dall’Oriente e dall’Occidente. La Cina è ormai il primo produttore al mondo e la quota di mercato dei costruttori esteri, negli ultimi cinque anni, è passata dal 61% al 35%. “Il cliente cinese - dice ancora l’esperto - apprezza sempre di più i brand domestici. Che fra l’altro hanno messo sul mercato auto ad alta performance dal punto di vista ingegneristico e con caratteristiche di software, in alcuni casi, anche superiori alle auto europee”. Buona parte della quota era dei tedeschi, che vendevano un milione di veicoli dentro alla Grande Muraglia: ma anche la componentistica italiana troverà sempre meno spazio.
Dall’altra parte ci sono i dazi di Trump. Negli USA l’Italia esporta per 6 miliardi di euro tra auto e componenti, a fronte di un import di poche centinaia di milioni: lo squilibrio è evidente. A ciò si aggiungono i circa 5 miliardi in componenti esportati in Germania, con i tedeschi che a loro volta vendono mezzo milione di autovetture sul mercato statunitense. Le aziende della componentistica hanno investito molto in Messico, dove vengono prodotti 3 milioni di veicoli: se arrivassero dazi anche all’interno dell’ex Nafta, come annunciato da Trump, questo avrebbe un impatto su aziende che hanno investito “local to local”.
Piemonte, culla dell’auto che fu: si fa presto a dire riconversione
I venti di burrasca soffiano più forti dove l’auto è un settore trainante. In Piemonte, quando parliamo di automotive consideriamo un settore con 713 imprese, un fatturato di poco più di 20 miliardi e 56mila addetti. È ancora la regione con il maggior numero di aziende attive nel settore, pari al 34% della quota nazionale, davanti a Lombardia e Emilia Romagna. “Un’industria longeva e fortemente vocata all’export” ricorda Guido Bolatto, segretario generale della Camera di Commercio di Torino: le imprese esportatrici sono l’83% del totale. Il loro fatturato dipende dall’auto in misura superiore a quanto accada nel resto d’Italia: una quota del 76%, contro il 69,5% nazionale. Più forte - non stupisce - è anche la dipendenza da Stellantis: al 42,3%, in calo, ma sopra al 35,3% italiano.
Gli investimenti in innovazione ci sono stati, ammette Bolatto: “Ma è un’innovazione soprattutto di processo: ci si concentra sul fare meglio quello che sappiamo fare, piuttosto che inventare nuovi prodotti. La collaborazione con i centri di ricerca è ancora scarsa”. Il solo segmento in controtendenza è quello dei ricambi, e non è per forza una buona notizia: significa che il parco auto è vecchio. Di positivo c’è il fatto che il 15% delle imprese è già orientato all’elettrico, mentre il 51% realizza pezzi che non verranno toccati dalla transizione: solo il 34% prevede un cambiamento del modello di business. L’opzione della possibile uscita dal settore coinvolge il 12% dei componentisti e per il 6% è individuato come l’unica strada percorribile.
Si guarda a nuovi settori produttivi, come l’aerospazio ma anche il biomedicale: “C’è un problema, perché non ci sono milioni di aerei o satelliti da produrre ogni anno. Parliamo di numeri diversi e di settori che hanno già i loro fornitori, per ‘aggredirli’ bisogna arrivare preparati con le certificazioni”. In conclusione: “La transizione ci sarà, ma purtroppo penso lascerà qualche cadavere in giro per il Piemonte”.
Andrea Cascioli

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