L’8 marzo non è la festa della donna
Dopo decenni di rivendicazioni abbiamo perso il significato di questa giornata. Non un giorno di gioia, ma l’occasione per ricordare che il raggiungimento della parità di genere è lontanoOggi è l’8 marzo e tutte almeno una volta ci sentiremo dire “buona festa della donna”. Eppure oggi non è una festa. A meno che non decidiamo di festeggiare la differenza retributiva tra i sessi, il lavoro di cura a carico delle donne, le violenze fisiche e psicologiche, le discriminazioni. Beh, in questo caso tanti auguri a tutte.
L’8 marzo è la Giornata Internazionale delle Donne ed è un giorno per ricordare la discriminazione femminile in ambito domestico, sul luogo di lavoro, in strada, in società. Questa ricorrenza è nata in ambito socialista ed è stata inizialmente dedicata alle battaglie femminili di inizio Novecento. Aveva insito un potente significato ideologico e di rivendicazione che, però, negli anni è venuto meno. In Italia questa giornata è stata resa ufficiale a partire dall’8 marzo 1946 - dopo una pausa in seguito alla guerra - grazie a Unione Donne italiane (UDI), un gruppo composto da militanti del PCI, PSI, Partito d’Azione e da Sinistra Cristiana. Quello però non era un traguardo, ma solo l’inizio del cambiamento. Nel 1946 Franca Viola non aveva ancora messo fine al matrimonio riparatore, esisteva il delitto d’onore, non c’era uguaglianza di diritti tra i coniugi, né una legge che garantisse la parità retributiva.
Le donne in quegli anni chiedevano il diritto all’aborto, la liberalizzazione dell’omosessualità e richiamavano l’attenzione sulla violenza domestica. Quello di oggi non è uno sciopero qualsiasi, è uno sciopero globale. In Italia a rappresentanza di questa giornata c’è il collettivo Non Una Di Meno (NUDM), che protesta contro tutte le forme di violenza. Non è rivolto solo alle donne, è uno sciopero per chi combatte la misoginia e crede nell’autodeterminazione della figura femminile.
Sebbene siano passati 77 anni da quella data l’uguaglianza tra uomini e donne non è ancora raggiunta in Italia. A dirlo sono i dati. A livello globale, secondo il Global Gender Gap Index 2022, l’Italia si trova al 63esimo posto su 146 Paesi.
In Italia, il Gender Pay Gap (cioè, il divario retributivo di genere a parità di mansione lavorativa) persiste. Nel 2018, il GPG ha toccato il 6,2% secondo i dati dell’Istat. Il differenziale retributivo di genere risulta essere più ampio tra i laureati, con una retribuzione media oraria di 19,6 euro per le donne e di 23,9 euro per gli uomini. Il divario aumenta se si considerano le professioni in cui vi è una minore presenza femminile. Tra i dirigenti, ad esempio, il gap tocca il 27,3%, mentre tra operai specializzati e artigiani è del 18,5%.
In generale, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è da sempre legata alla presenza di figli. Il tasso di occupazione femminile tra i 25 e i 49 anni riferito al 2019, secondo l’Istat, tocca il 74,3% per le donne senza figli e sfiora il 55,2% per coloro che hanno un figlio in età prescolare. L’anno successivo le differenze si sono accentuate. Il tasso di occupazione femminile è sceso al 72,7% tra chi non ha figli e al 53,3% per le madri. Nel complesso, il tasso di occupazione femminile è di 15,3 punti inferiori rispetto alla media dell’Unione Europea, arrivando ad essere riconosciuto come il tasso più basso d’Europa.
La situazione del Piemonte conferma la tendenza nazionale. Fino agli inizi degli anni Duemila il divario di genere tra uomini e donne nel mondo del lavoro era costantemente diminuito. A un certo punto, però, questa tendenza si è fermata. Prendendo in esame i dati recentemente diffusi dalla Camera di Commercio è possibile evidenziare che le imprese femminili con sede in Piemonte sono diminuite di 840 unità nel 2022 rispetto all’anno precedente. Ma non è un fenomeno nuovo, è almeno dal 2019 che le imprese femminili diminuiscono sul territorio regionale. La Granda non fa eccezione. Secondo i dati del registro imprese della Camera di Commercio di Cuneo le attività femminili hanno sofferto maggiormente le criticità del sistema imprenditoriale. Nel 2022 sono nate 834 aziende con donne a capo, 18 in meno rispetto all’anno precedente. Al contempo ne sono cessate 1052 rispetto alle 883 del 2021.
Le difficoltà per le donne che vogliono avviare un’attività o che, semplicemente, intendono lavorare sono le stesse da decenni. Il lavoro di cura è ancora maggiormente sulle spalle delle donne. Al contempo, persiste un numero di asili inadeguato e mancano scuole che abbiano orari di lavoro flessibili per permettere a molte madri di avere un impiego a tempo pieno. In Italia l’Istat calcola la copertura degli asili nido in base alla disponibilità delle strutture, evidenziando il numero di posti disponibili in un territorio ogni 100 residenti tra 0 e 2 anni. Nella classifica nazionale il Piemonte si colloca 13esima su 20 regioni.
Il raggiungimento della parità rimane lontano, sia in ambito lavorativo sia in quelli sociali e talvolta familiari. E, finché ogni donna non potrà decidere sul proprio corpo, fino a quando a un colloquio di lavoro le verrà chiesto se vuole dei figli o a qualcuna sarà negato il diritto di studiare, continuerà a non esserci nulla da festeggiare. L’8 marzo ci ricorda che, ad oggi, è necessario continuare a rivendicare i propri diritti con uno sguardo al passato per non dimenticare chi prima di noi ha lottato per garantire la nostra autodeterminazione, e uno al futuro. Perché i fatti recenti - esempio fra tutti l’Afghanistan - ci ricordano che i diritti, a volte, non sono per sempre.
Micol Maccario
CUNEO Festa della Donna