La parità salariale tra uomini e donne, approvata anche dal Senato, è legge
Nei giorni scorsi si era svolto in Provincia un convegno sull’argomento coordinato dalla Consigliera di parità Beltramo La proposta sulla parità salariale tra i generi è legge. Dopo lo storico voto unanime della Camera il testo contro le discriminazioni di genere sul lavoro, che vede come prima firmataria e relatrice la cuneese Chiara Gribaudo, è stato votato martedì 26 ottobre all’unanimità anche in Commissione Senato. Alla parità salariale tra i generi la Provincia ha dedicato una tavola rotonda online nei giorni scorsi (giovedì 21 ottobre ndr) per sensibilizzare sul tema del “gender pay gap” e della recentissima legge regionale del Piemonte sulla parità salariale. L’evento, che si inseriva in un percorso formativo, è stato introdotto dalla Consigliera di Parità della Provincia di Cuneo avvocata Monica Beltramo che già giorni fa ricordava la necessità assoluta dell’approvazione anche al Senato della legge per consentire di dare piena applicazione al codice delle pari opportunità.
L’obiettivo della nuova legge è quello di ridurre la differenza di salario tra donne e uomini, e far emergere ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo inserendo nell’ordinamento nuove tutele per le donne. La legge, che punta a incrementare la trasparenza nei luoghi di lavoro, si estende dalle imprese con più di 100 dipendenti a quelle a partire da 50 addetti in su con l’obbligo di presentare un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile, mentre per quelle di dimensioni minori sarà facoltativo. Dal 1° gennaio 2022 sarà istituita la certificazione della parità di genere, in relazione alle opportunità di crescita in azienda, e viene introdotto uno sgravio contributivo dell’1% nel limite di 50.000 euro annui per premiare le realtà virtuose. La disciplina integra, tra l’altro, la nozione di discriminazione includendo pure gli atti di natura organizzativa o oraria che sfavoriscono le donne. Saranno colpiti i trattamenti che, “in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive”, pongono, o possono porre la lavoratrice in posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri addetti, generano limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali e creano ostacoli riguardo ad avanzamento e progressione nella carriera.
Redazione
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