Lavoro e povertà, Cuneo resta ‘isola felice’ nel Piemonte che annaspa
Rapporto Ires 2019, la regione si allontana dal Nord. Nella Granda meno disoccupati, ma le crisi Miroglio, Mondo e Burgo spingono la cassa integrazioneC’era una volta il Nord Italia, verrebbe da dire leggendo i numeri del rapporto Ires 2019. L’ente di ricerca socioeconomico della Regione Piemonte certifica un progressivo allontanamento dell’economia subalpina non solo dalle performance della locomotiva lombarda ma più in generale dal treno settentrionale.
Per le famiglie piemontesi, ancor più che per quelle del resto d’Italia, la crisi del 2008 ha rappresentato davvero uno spartiacque storico. Il reddito netto è sceso di circa il 12% tra il 2007 e il 2016, ricominciando a crescere solo a partire dal 2013, ma con una variazione inferiore sia alla media nazionale (+1,6% contro +3,2%) sia a quella delle ripartizioni Nord Ovest e Nord Est (rispettivamente +2,0% e +5,8%). In valori assoluti e al netto dell’inflazione, il livello del reddito medio è calato di circa 4.200 euro in Piemonte contro i 3.600 euro nella media italiana (valore che scende a 2.600 euro considerando solo il Nord Ovest).
In altre parole, il lieve vantaggio che la nostra regione aveva ancora fino a dodici anni fa nei confronti del resto del Paese non esiste più. E la ripresa del reddito disponibile netto registrata non fa che confermare questa tendenza, perché nel triennio 2013-2016 le famiglie piemontesi recuperano circa 450 euro contro una media italiana di 890 euro che arriva quasi a doppiare quella regionale. Qui la grande onda di una recessione lambisce anche la parte più ricca della popolazione. Ma non è una consolazione per chi non ne fa parte, perché se la disuguaglianza non cresce aumenta invece la povertà. Gli indicatori di grave deprivazione materiale guadagnano quasi 5 punti percentuali tra il 2009 e il 2016, ponendo il Piemonte tra le regioni con un peggior aggravamento, nonostante la discesa di un punto nel 2017. Tra il 2007 e il 2015 l’incidenza della povertà assoluta è salita dal 2,9% al 5,6%: la regione, che prima della crisi aveva indici più bassi anche rispetto alla media settentrionale, nel 2015 supera questa media di un punto, con un numero di famiglie in povertà assoluta che passa da 57.300 nuclei a 112mila.
Nell’anno appena trascorso il PIL piemontese ha visto una crescita dell’1,1%, superiore allo 0,9% nazionale, ma ci sono recenti segni di frenata. L’occupazione è aumentata di 12mila unità nel 2018, nonostante il trend negativo del secondo semestre, e la disoccupazione è scesa dal 9,1% all’8,2% (18mila unità). I segnali recenti sono però negativi, con la produzione industriale del primo trimestre 2019 a -0,4% rispetto allo stesso periodo del 2018. In calo anche ordinativi, fatturato e grado di utilizzo degli impianti, soprattutto per Torino dove vanno male auto e tessile.
Qui c’è però da segnalare che la provincia di Cuneo, anche grazie all’industria alimentare, rimane un’’isola felice’ in un contesto non entusiasmante. Anche nel quadro della disoccupazione si conferma in positivo, e si rafforza perfino, la solida posizione della Granda. In ambito regionale incidono gli effetti del Decreto Dignità, diventato operativo a novembre 2018, perché l’incremento degli avviamenti al lavoro si concentra fra le assunzioni a tempo pieno (+5,4%), mentre rimane fermo il part time. A ciò si aggiunge il virtuale raddoppio delle trasformazioni da determinato a indeterminato, che passano da 17.500 a 37.300, ma la dinamica va in gran parte ricondotta all’eccezionale aumento di contratti a tempo determinato nel 2017.
Altro elemento statistico di interesse è nella crescita della presenza extracomunitaria fra le assunzioni (+13,3% con 11.200 unità aggiuntive) a fronte di una lieve flessione degli avviamenti al lavoro di cittadini comunitari (-1,7%, quasi mille chiamate in meno). L’aumento della componente extra UE è dovuto principalmente all’afflusso di stranieri in condizione di rifugiati, alimentato anche dalle politiche attive promosse dalla Regione e dalle strutture di accoglienza, e riguarda soprattutto cittadini dell’Africa nordoccidentale e del subcontinente indiano. Questa presenza è più intensa sul piano settoriale in agricoltura, che da sola copre poco meno della metà del saldo positivo, e sul piano geografico nel Piemonte meridionale. L’incidenza del settore primario spiega anche perché in quest’area, dove la caduta dei contratti dei contratti di somministrazione a breve durata è meno ampia rispetto al resto della regione, i lavori a tempo determinato mostrino un discreto dinamismo.
Tutto bene, allora? Quasi. Per la Granda il rapporto Ires segnala una sola criticità rilevante, che riguarda il crescente ricorso - in controtendenza rispetto al Piemonte nel suo complesso - all’integrazione salariale. A Cuneo aumentano del 60% le ore autorizzate di cassa integrazione, passando da 2,3 a 2,7 milioni, per effetto della componente straordinaria, specie nei settori abbigliamento, gomma-plastica e carta: a rendere ragione di questo scostamento infatti sono le situazioni di crisi di alcuni grandi gruppi locali, in testa Miroglio, Mondo e Burgo.
Nel complesso, lo scenario inusuale che l’attuale quadro macroeconomico della regione offre, scrive l’Ires, è quello di una correlazione positiva tra PIL regionale e povertà: “una sorta di ‘ripresa senza benessere’ in cui alla crescita del prodotto per abitante ancora non reagisce in maniera adeguata il reddito disponibile”. Un paradosso nel paradosso è rappresentato dalla condizione dei giovani piemontesi, oggi molto meno numerosi e con livelli di istruzione più elevati rispetto alle generazioni precedenti, ma anche molto meno occupati, soprattutto per effetto della competizione che i laureati esercitano sui posti di lavoro in precedenza ricoperti da diplomati.
Il rischio concreto è quello di una ‘low skill trap’, con la fuoriuscita degli elementi più qualificati dal sistema regionale rimpiazzati da un flusso in ingresso di persone disponibili ad attività meno qualificate e remunerative. Qui sta l’insidia peggiore per il nostro territorio, e non solo per quello, se consideriamo che un forte processo di concentrazione occupazionale (e demografica) in due aree specifiche del Paese è già in atto da tempo: grazie al traino di Milano e Roma, infatti, tra il 2011 e il 2016 il 70% del saldo occupazionale positivo registrato dalle regioni italiane è avvenuto nelle sole Lombardia e Lazio.
Andrea Cascioli
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