Lavoro, sport e preghiera islamica. Il carcere di Cuneo cambia pelle
Il neodirettore Domenico Minervini arriva dopo un periodo di tensioni e un’evasione: “Abbiamo nuove sezioni e sempre più attività per i detenuti. Il sogno? Un teatro”Per la maggior parte dei cuneesi “il Cerialdo” è da sempre un corpo estraneo alla città, un moloch di cemento la cui mole arcigna fa capolino dai finestrini del treno poco prima - o poco dopo - l’ingresso sul viadotto Soleri. Carcere di massima sicurezza, per usare la terminologia d’antan, meglio nota ai più rispetto alle evoluzioni linguistiche che l’hanno ribattezzata “casa circondariale”. Non si contano gli episodi di cui il penitenziario è stato protagonista nella storia della criminalità comune e politica. Dal famoso “patto di Cuneo” tra Francis Turatello e il clan degli slavi all’esecuzione brigatista di Giorgio Soldati, o i misteriosi retroscena sui contatti che Tommaso Buscetta avrebbe avuto durante il sequestro Moro, proprio mentre era in cella a Cuneo. Di recente il Cerialdo ha fatto molto parlare di sé nelle cronache locali: svariate le aggressioni agli agenti e gli episodi violenti denunciati dai sindacati di polizia. C’è stata perfino, dopo diversi anni, un’evasione lampo, quella di Daniele Bedini nell’agosto scorso.
Tutte cose che l’istituto vorrebbe lasciarsi alle spalle, assicura il nuovo direttore Domenico Minervini: la nomina dell’ex dirigente del “Lorusso e Cotugno” di Torino è una novità bene accolta da tutto l’ambiente carcerario, in primo luogo perché Minervini è qui per restare, dopo che in cinque anni si sono succeduti ben quattro direttori diversi. L’incarico triennale è stato sancito il 31 marzo, anche se per ora deve dividersi tra Cuneo e Verbania: un inconveniente che dovrebbe risolversi a ottobre, con l’arrivo di una nuova infornata di direttori. È la prima in venticinque anni, tanto per dare l’idea delle condizioni in cui versa il personale carcerario. “C’è una gravissima carenza di personale che contrasta con la tradizione di questo istituto” conferma il direttore, ospite lunedì scorso della commissione consiliare dedicata al carcere insieme al garante dei detenuti Alberto Valmaggia. Lo scorso anno le assegnazioni degli agenti penitenziari hanno visto appena 55 nuove unità in tutto il distretto, di cui 14 a Cuneo. “Mancano una ventina di agenti assistenti secondo la pianta organica del 2017, quindi prima dell’apertura del terzo padiglione” spiega Minervini: “Dove siamo carentissimi è nel quadro intermedio: ci sono rimasti quattro ispettori e altrettanti sovrintendenti a fronte dei 24 e 37 previsti, meno che a Fossano. Qui abbiamo davvero toccato il fondo”.
Si cerca comunque di fare il possibile anche a fronte di numeri risicatissimi. E in questi primi otto mesi di direzione le novità non sono mancate: è stato attivato un secondo campo di calcetto e avviato un laboratorio teatrale con l’associazione Voci Erranti, che da molti anni opera nella casa di reclusione di Saluzzo. La prossima settimana verrà presentato un progetto per raddoppiare gli spazi della panetteria - e di conseguenza i detenuti assunti -, mentre a giugno verrà inaugurato il nuovo vivaio. Per la popolazione islamica del carcere è stata istituita la preghiera del venerdì, come già avviene a Torino: “Un gesto molto apprezzato, anche perché molti di questi detenuti non hanno riferimenti esterni”. Un cruccio è quello di non avere a disposizione un vero teatro: “Avere uno spazio significherebbe dare stabilità agli eventi” dice il direttore, convinto dell’importanza di aumentare le attività a disposizione perché “è chiaro che più i detenuti sono impegnati, più sono coinvolti nella rivisitazione critica del proprio vissuto”.
Questa osservazione potrà far storcere il naso a chi il carcere lo osserva solo dall’esterno, ma più attività significa più sicurezza e maggior serenità anche per il personale, oltre a maggiori possibilità di recupero una volta espiata la pena. Due, per l’amministrazione carceraria, erano le esigenze: “La prima era quella di alleggerire le presenze nel carcere di Torino, dove per anni non si è investito adeguatamente. La seconda era cambiare la percezione dell’istituto: Cuneo ha la tradizione di istituto di rigore, ma gli scenari cambiano”. Cambiano, per fortuna, anche le strutture: “L’amministrazione ha investito molti soldi: è stato attivato un nuovo padiglione, all’avanguardia rispetto alle normative. Ci sono celle con buone metrature e docce nelle stanze, cose che migliorano la vivibilità”. Il padiglione Cerialdo, destinato ai detenuti del 41 bis, ha quattro sezioni: due sono già attive, le altre due verranno aperte alla fine dell’estate. Oggi il cosiddetto “carcere duro” ospita 45 reclusi, destinati a diventare 95. Poi ci sono i 170 detenuti della “media sicurezza” nel padiglione Gesso e altri 98 in quello inaugurato da qualche mese. Con i nuovi arrivi, il penitenziario dovrebbe giungere a contenere quasi 400 detenuti: una sfida, ma non più disperata. Per far fronte all’incremento di reclusi si sperimentano sistemi di sorveglianza più flessibili e si cerca, dove possibile, di liberare spazi. In quest’ottica è stata sancita la chiusura definitiva della sezione femminile, ormai “antieconomica”.
“Una pena utile - sottolinea il direttore - deve necessariamente culminare nell’esecuzione penale esterna, ma i numeri in Italia sono piuttosto contenuti. Stiamo iniziando a potenziarli, dando la possibilità di lavorare all’esterno”. Su questo il Comune contribuisce come può: l’assessore alle Politiche Sociali Paola Olivero ha ricordato i progetti per l’inserimento di persone sottoposte a misure restrittive nei “cantieri di lavoro”. Quest’anno si passa da due unità a quattro, più un’altra nell’ambito di un diverso progetto. Il carcere può contare anche sull’aiuto delle due associazioni che da anni prestano la loro attività volontaria, Ariaperta e Sesta Opera: “La pandemia è stata ancora più faticosa in carcere, molte delle iniziative che si facevano si sono interrotte e si sta cercando di riprenderle con l’amministrazione” spiega l’ex sindaco e attuale garante comunale Alberto Valmaggia. Il meccanismo dei colloqui via Whatsapp, sperimentato durante il Covid, si è rivelato funzionale. C’è poi il tema dei trasporti, perché servirebbe una fermata bus più vicina al carcere: “Una richiesta che mi è venuta non solo dai familiari dei detenuti, ma anche da qualche avvocato” aggiunge Valmaggia.
Per i progetti più vasti, naturalmente, servono i finanziamenti, quindi soprattutto lo Stato. A cui spetta il compito di far sì che i “lumicini” accesi dall’amministrazione penitenziaria non vengano spenti da un refolo di vento: “C’è qualcosa di buono in ognuno di loro, si tratta di creare le occasioni”. Parola di direttore.
Andrea Cascioli
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