Dogliani, non violò il sequestro del vino in azienda: assolto l’imprenditore Orlando Pecchenino
L’ex presidente del consorzio produttori di Barolo era accusato di aver sottratto una parte del prodotto bloccato per quattro anni dalle autorità nella sua cantinaEra accusato di aver sottratto all’incirca nove dei 423 ettolitri di vino sottoposti a sequestro su disposizione della procura di Asti, nell’ambito di un’indagine che riguardava la sua cantina di Dogliani.
Per questo l’imprenditore Orlando Pecchenino, ex presidente del consorzio di tutela del Barolo e del Barbaresco, è stato rinviato a giudizio davanti al tribunale di Cuneo. La presunta violazione era stata accertata dagli ispettori dell’ICQRF, dipendente dal ministero dell’agricoltura, durante un sopralluogo eseguito nel maggio 2018. Il prodotto sequestrato era ancora in fase di vinificazione, ma la ditta era stata autorizzata a eseguire le lavorazioni necessarie purché queste venissero comunicate alle autorità. Secondo l’ispettore che aveva eseguito i controlli, il calo registrato non poteva essere ricondotto all’evaporazione o ad altre cause naturali perché verificatosi all’interno di una vasca in vetroresina.
La difesa ha obiettato in primo luogo che lo stesso tribunale di Asti ha di recente dichiarato l’illegittimità del sequestro, annullando l’ordinanza e condannando il ministero alle spese: “Quattrocentoventitre ettolitri di vino sono stati sequestrati per quattro anni al signor Pecchenino e non avrebbero dovuto essere sequestrati” ha sottolineato l’avvocato Fabrizio Mignano, che insieme a Luisa Pesce rappresentava l’imprenditore. La circostanza non ha comunque modificato la richiesta di condanna, quantificata in sei mesi di reclusione, da parte del pubblico ministero Rosa Alba Mollo: “Il sequestro amministrativo in quel momento era operante, sebbene poi sia intervenuta la sentenza di annullamento del giudice civile. L’ammanco di prodotto riscontrato dagli ispettori non può essere attribuito a un’evaporazione”.
Sul punto i legali hanno ribattuto che non ci fosse un chiaro dato di partenza con cui confrontare quello riscontrato in seguito e che comunque i verbali degli ispettori fossero viziati da molteplici errori: 3 ettolitri in più erano stati conteggiati per sbaglio e poi sottratti di nuovo nel corso degli accertamenti, uno scostamento ulteriore era poi indicato nel verbale di dissequestro. Oltre a questo ci sarebbe da considerare il fatto che il vino non era sempre rimasto nella vasca in vetroresina ma era stato conservato per un periodo nel legno: “In questi contenitori, - ha riepilogato l’avvocato Pesce - il legislatore stima un’evaporazione da assorbimento pari al 4% in un anno. Se sommiamo a questo gli errori di accertamento e il quantitativo di feccia dovremmo arrivare a circa 14 ettolitri di vino in meno, cioè più dei 9 hl contestati”. Dubbia, secondo il codifensore Mignano, anche l’utilità economica dell’eventuale violazione: “Non si capisce perché un’azienda che fattura milioni avrebbe commesso un reato per vendere della feccia da cui avrebbe ricavato nella migliore ipotesi 800 euro”.
Il giudice Emanuela Dufour ha accolto le argomentazioni difensive assolvendo l’imputato perché il fatto non sussiste. I legali si sono detti molto soddisfatti dell’esito del processo che riconosce l’assoluta estraneità di Pecchenino: “Questo provvedimento segue e si allinea alla sentenza pronunciata dal tribunale di Asti che ha annullato la sanzione e disposto la totale restituzione del prodotto vinicolo sottoposto a sequestro”.
Non è ancora conclusa invece la vicenda giudiziaria che aveva portato al sequestro, protrattosi per quattro anni. Insieme al fratello Attilio, Orlando Pecchenino era stato accusato di aver violato il disciplinare di produzione vinificando nella storica cantina di famiglia a Dogliani anziché in quella di Monforte d’Alba, come aveva invece dichiarato. Lo stabilimento doglianese sorge a trecento metri di distanza dall’area di produzione del Barolo. A norma di legge, quindi, lo stesso vino che entro quei confini può essere chiamato Barolo docg deve essere etichettato come Langhe Nebbiolo doc se ciò non avviene. In primo grado i due imprenditori sono stati condannati a sei mesi: contro questa sentenza è pendente il ricorso in appello.
a.c.
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