Nel Caf di Cherasco i permessi “a tempo” per gli stranieri: ma era una truffa
Una 64enne italiana ai domiciliari, avrebbe incassato migliaia di euro per ogni pratica: forse duecento in tutto. Dopo pochi mesi arrivava il rigetto della QuesturaDalle voci giunte all’orecchio di un poliziotto, in servizio a Bra, è nata l’operazione della Squadra Mobile che ha portato alla denuncia e al sequestro dei conti per la responsabile di un Caf con sede a Cherasco, Rosalia La Corte, ora agli arresti domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dal suo elegante ufficio, nel centro della città delle paci, la 64enne avrebbe messo in piedi un sistema di “vendita” di pratiche per i permessi di soggiorno. Di per sé nulla di illecito, se non fosse che la titolare non aveva alcuna abilitazione per questo tipo di domande. Cosa più rilevante, erano fascicoli che si concludevano con il rigetto nel giro di mesi, perché fin da principio gli stranieri - quasi tutti albanesi, entrati con visti turistici - non avevano i requisiti per chiedere la messa in regola: a tutti loro, in sostanza, l’agenzia vendeva la fontana di Trevi, come nella celebre scena di Totò. Le somme, però, non erano da ridere: fra i 1.500 e i 3.500 euro a pratica, conferma il dirigente di polizia Giancarlo Floris.
“Faceva compilare il classico kit postale da inviare alle Poste italiane e quindi all’ufficio Immigrazione della Questura” spiega il capo della Squadra Mobile: l’ufficio postale, a seguito di questo atto, rilascia un ticket che permette di soggiornare nel territorio nazionale finché la Questura non valuta la pratica. Ma la documentazione all’interno era scarsissima, giusto qualche dato anagrafico: perciò le domande di permesso, motivate da richieste di lavoro subordinato o da ragioni familiari, venivano respinte in modo sistematico.
Gli immigrati perdevano soldi, i poliziotti tempo. A guadagnarci era solo il Caf: gli inquirenti hanno sentito molti soggetti albanesi, titolari di attività, che risultavano avere richiesto persone da contrattualizzare e che in realtà non avevano mai avanzato domande di questo genere. I fascicoli accertati, un centinaio, sono solo una metà di quelli che si suppone siano stati oggetto di invio non idoneo. Anche i soldi sequestrati tra l’ufficio e l’abitazione dell’indagata, circa 3-4.000 euro in contante, rappresentano una minima parte delle entrate che si suppone siano state incamerate, in modo illecito, negli ultimi sette o otto mesi. La Procura di Asti ha disposto la confisca dei conti correnti della donna, su cui sono transitate notevoli somme di denaro.
L’indagine, come si diceva, trae spunto dalla segnalazione ricevuta da un agente, in merito a un via vai di richieste da quell’agenzia: una collega che si occupava delle pratiche per i permessi a Bra lo aveva poi informato che i rigetti erano numerosissimi. Di qui l’avvio degli accertamenti, condotti anche con intercettazioni e pedinamenti, oltre all’escussione di alcuni dei soggetti che si erano visti negare i permessi di soggiorno: “Di fatto è un’elusione totale in materia di flussi di ingresso. Nei confronti degli immigrati si valuteranno provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato” fa sapere il commissario capo Fabio Bertoglio, responsabile dell’ufficio Immigrazione.
Qualcuno, a quanto pare, avrebbe provato a recriminare con la professionista, la quale però scaricava la responsabilità dei dinieghi sulla Questura. È possibile che qualche voce sul suo conto stesse già circolando nella comunità albanese: “Ciononostante, il giro di affari è continuato fino a questa mattina” sottolinea Floris. Il questore di Cuneo Carmine Rocco Grassi elogia l’attività condotta in sinergia dall’ufficio Immigrazione e dalla Mobile, che ha portato per ora a due sanzioni amministrative: 1.600 euro a carico dell’agenzia di Cherasco, altrettanti per l’attività che l’indagata gestiva in un altro comune della provincia.
“Era un escamotage per consentire di prolungare la permanenza irregolare sul territorio” afferma il questore: “Molti stranieri sono stati indotti a rivolgersi a questa struttura. Con la semplice ricevuta ritenevano di poter instaurare un rapporto di lavoro o di attendere il permesso per motivi familiari”.
Andrea Cascioli
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