Accuse contro la casa-famiglia di Caraglio: “La Asl pagava ore di assistenza, ma nessuno le riceveva”
Per i vertici della cooperativa Valentina il pm chiede tre condanne sulla base di un calcolo matematico: “I dipendenti non avrebbero potuto lavorare così tanto”C’è un semplice calcolo matematico, sulla scorta di quanto accertato dalla Guardia di Finanza, alla base delle richieste di condanna che il sostituto procuratore Alberto Braghin ha formulato nei confronti dei tre amministratori della cooperativa sociale “Valentina” di Caraglio.
“Sono state pagate ore che non avrebbero potuto essere effettuate, sulla base della forza lavoro e del tempo” ha spiegato ai giudici il pubblico ministero, all’esito del processo che vedeva alla sbarra, per truffa e infedeltà patrimoniale in concorso, P.L.G., presidente della cooperativa, insieme a R.R. e C.S., coimputate per il loro ruolo nella società: “Si tratta di verificare se le ore fatturate dalla cooperativa e pagate dall’Asl e dal Consorzio Socio Assistenziale, nel periodo che va dal febbraio 2017 al dicembre 2020, siano state o meno effettuate” ha sintetizzato il rappresentante dell’accusa. La sua risposta è no, perché questo dimostrerebbe la ricostruzione che le fiamme gialle hanno effettuato “verificando il monte ore, quanti operatori sociosanitari e quanti educatori fossero presenti in questo arco di tempo”. Il dato emerso è che nessuno di loro, tranne la stessa C.S., era a tempo pieno: “Tutti avevano un monte di 30 ore settimanali. Possiamo affermare che tutte le ore aggiuntive fatturate, in realtà, non avrebbero potuto essere erogate”.
“È un calcolo matematico” conferma l’avvocato Paolo Dotta, legale del Consorzio Socio Assistenziale che si è costituito contro la cooperativa, insieme all’Asl e a un ex socio lavoratore della stessa: le ore di cui si parla sono le cosiddette “ore individualizzanti”, cioè quelle che oss ed educatori avrebbero dovuto destinare a percorsi dedicati ai singoli ospiti della casa famiglia di Vallera, attiva dal 1998 nell’assistenza a disabili e anziani. “È emersa la tendenza a interpretare le ore individualizzanti come ore che riguardavano un solo soggetto e comportavano un certo tempo: ma quella è l’attività di base per cui viene pagata una retta” obietta l’avvocato Dotta: “Non si può prospettare che igiene e pasti fossero ‘ore individualizzanti’, le attività individuali riguardano un percorso educativo. Se rispetto alla retta di 92 euro al giorno vengono pagate ore in più a 16 euro, è evidente che non poteva essere l’operatore di turno a occuparsene”. Solo una delle ospiti, in seguito deceduta, avrebbe invece ricevuto le prestazioni aggiuntive dovute - e pagate: “Ma erano al massimo tre ore a settimana, avrebbero dovuto essere tre al giorno. E venivano erogate solo a lei perché era l’unica a lamentarsene”.
“Da tutte le testimonianze - dice l’avvocato Manuela Cravero a nome dell’Asl Cn 1 - è emerso che gli otto operatori in servizio riuscivano a malapena a soddisfare bisogni primari quale l’igiene personale, i pasti e il sollevamento dal letto. Ma non riuscivano a portare avanti progetti terapeutici e di educazione che invece l’Asl pagava alla cooperativa”. Nessuna critica al personale in servizio, la cui dedizione è stata lodata da tutti: “Un ragionamento truffaldino è stato fatto non dagli operatori, ma dal presidente e dagli altri imputati”. C’è un ulteriore aspetto, riguardo alla gestione della cooperativa, rilevato dall’avvocato Franco Bosio, che rappresenta l’ex socio costituito contro i vertici: “Le somme fatturate servivano per ‘tenere a galla’ la ‘Valentina’: ma perché la ‘Valentina’ doveva essere tenuta a galla? C’è un contratto di affitto di ramo d’azienda per 4mila euro mensili che vanno a una società riconducibile a P.L.G., la Apollo. Grazie a un passaggio di scatole cinesi, l’immobile che in origine avrebbe dovuto già essere della ‘Valentina’ e per il cui acquisto era stato pagato un mutuo, viene concesso a un’altra società”.
L’immobile era stato oggetto di ristrutturazione, per la quale il presidente aveva messo parte dei fondi, ma che la cooperativa pagava con un mutuo: “Tutte queste spese - rileva il legale - avrebbero ben potuto essere utilizzate per rendere più agevole il lavoro degli operatori, ma così non è stato”. Contro P.L.G. e R.R. il pm ha chiesto una condanna a 1 anno e 9 mesi di reclusione e 1.800 euro di multa ciascuno. Un anno e 900 euro di multa per l’altra imputata. Le richieste di risarcimento ammontano a 72mila euro per i soli danni patrimoniali da parte dell’Asl e 44mila euro dal Consorzio Socio Assistenziale, più una liquidazione del danno chiesta dalla parte civile privata “che comprenda anche lo stress e i patimenti del dipendente”.
Il 18 dicembre si attende la discussione dell’avvocato Aldo Pellegrino, difensore degli imputati, poi la sentenza.
Andrea Cascioli
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