Accusò il compagno di averla picchiata e minacciata con una katana. In aula ritratta: ‘Ho inventato tutto’
La donna, una 61enne di Cuneo, aveva posto fine alla burrascosa convivenza con l’imputato. Oggi ha detto di aver ingigantito le circostanze: ‘Ero arrabbiata con lui’“Ho detto che mi aveva minacciata con una katana solo perché ero arrabbiata, ma non era vero”: così ha dichiarato di fronte al giudice una donna di 61 anni, residente a Cuneo, nel corso di un processo contro il suo convivente imputato dei reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate.
Il 30 luglio dello scorso anno i carabinieri, allertati da un vicino di casa, erano intervenuti nell’abitazione del centro storico occupata dalla coppia a seguito di una violenta lite. La donna aveva riferito di essere stata colpita con un calcio dal suo compagno che poi le avrebbe puntato contro il volto una katana lunga oltre 40 centimetri, finendo per schiaffeggiarla e minacciando di ucciderla. A seguito di questo episodio, la 61enne aveva abbandonato l’abitazione comune tornando per un periodo dal suo ex marito mentre il convivente M.G., classe 1966, era stato denunciato d’ufficio e sottoposto a una misura cautelare.
Nei mesi di lontananza i due hanno comunque continuato a sentirsi, tanto che una volta scaduto l’obbligo di allontanamento sono poi tornati a coabitare. I due hanno una storia di convivenza che prosegue dal 2013 nonostante vari episodi burrascosi che più di una volta hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e sono culminati in accessi ospedalieri da parte di lei. Davanti al giudice però la donna ha smentito quasi tutto ciò che aveva dichiarato nell’immediatezza dei fatti: “Mi ha minacciata solo di sbattermi fuori di casa. Tra noi ci sono stati insulti reciproci, lui aveva perso la madre da pochi giorni e beveva molto”.
Dal canto suo, la donna soffre di depressione e sindrome bipolare, disturbi diagnosticati per i quali è seguita dal Centro di Salute Mentale da una decina d’anni. In aula ha raccontato di aver tentato il suicidio per due volte e ha spiegato che in un’occasione M.G. le aveva procurato alcune contusioni proprio nel tentativo di distoglierla dal malsano gesto. La donna ha attribuito a questi suoi problemi psichiatrici anche le dichiarazioni che in più occasioni aveva reso alle autorità riguardo ai comportamenti del suo compagno.
Il sostituto procuratore Carla Longo non ha tuttavia ritenuto convincente l’ampia ritrattazione fornita, chiedendo per l’imputato la condanna a 18 mesi: “Pare evidente che la signora è in uno stato di assoluta vulnerabilità e totale confusione. Probabilmente non è in grado di difendere se stessa”. I fatti, a giudizio dell’accusa, sarebbero del resto ricostruibili in maniera oggettiva anche a prescindere dalle dichiarazioni della parte offesa: “I carabinieri intervenuti su richiesta del vicino hanno in effetti constatato che la katana non era più appesa nella sua sede abituale, dunque è verosimile che sia accaduto ciò che la donna aveva raccontato loro. È inoltre documentato che in almeno un’occasione abbia ricevuto un pugno in pieno volto: difficile pensare che fosse un modo per scongiurare un tentativo di suicidio”.
Per contro il legale dell’imputato, avvocato Enrico Gallo, ha sostenuto che gli accessi ospedalieri della donna non bastino a fornire prova dei maltrattamenti e che fosse del resto poco credibile che i servizi psichiatrici presso i quali era in cura da anni non avessero mai richiesto interventi dell’autorità giudiziaria.
Il giudice Sandro Cavallo ha infine assolto M.G. dall’accusa di maltrattamenti familiari per insussistenza del fatto e dichiarato non procedibile il reato di lesioni in mancanza di querela e non sussistendo le aggravanti.
a.c.
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