Angelo Giordana disse del suo vicino: ‘Se non lo ammazzo, mi ammazzerà lui’
Parlano i parenti dell’apicoltore morto a Entracque nel 2017, forse in seguito a un pestaggio: ‘Aveva paura, voleva mettere le telecamere’Angelo Giordana aveva paura. Quelle liti con il vicino in borgata andavano avanti da anni, e dai dispetti si sarebbe passati alle botte, alle minacce, a uno stillicidio di rancori tra due uomini uniti dalla solitudine della vita di montagna, ma divisi dall’età e da un astio sempre più insuperabile: “Lui lo aveva detto, una delle ultime volte: se non lo ammazzo, mi ammazzerà lui” racconta in aula la nipote, tra i singhiozzi.
L’apicoltore 76enne aveva abitato per tutta la vita a Tetti Dietro Colletto, una manciata di case sopra a Entracque, sulla via che porta alla frazione Trinità. Fu ritrovato cadavere la sera del 20 gennaio 2017, disteso nudo nella sua cucina: morte per assideramento, secondo il referto medico. Ma sul volto e sul corpo portava i segni di un pestaggio che potrebbero averne provocato l’assurda fine.
Sua nipote Nicoletta in quella casa ha trascorso tutte le estati dell’infanzia, insieme ai nonni e allo zio Angelo. Conosceva bene le abitudini e le piccole fissazioni di quell’anziano solitario, fratello del padre, che era anche suo padrino di battesimo. E ovviamente conosceva il vicino, Stefano Giordano, ora imputato per il presunto omicidio: “È un prepotente, un attaccabrighe, che nei confronti di mio zio ha sempre avuto un atteggiamento aggressivo” afferma la donna, oggi 35enne. Sapeva che i due erano venuti alle mani almeno in un’occasione, lo zio si era presentato con uno zigomo gonfio: “Andava dai Carabinieri perché diceva che se non avesse fatto denuncia non sarebbe servito a niente, ma era demoralizzato”.
Giordana era convinto che il vicino nascondesse i suoi attrezzi da lavoro, e perfino che entrasse in casa quando lui era nei campi. L’aveva detto e ridetto alla nipote, alla cognata, al fratello Giacomo che soprattutto negli ultimi tempi veniva ad aiutarlo nei lavori pesanti: teneva le chiavi in un marsupio e per essere certo di depistare l’intruso nascondeva tutto nei posti più impensati, come il bagagliaio della macchina. Ma quelle sparizioni sarebbero continuate, esasperandolo, e spingendolo a valutare l’ipotesi di installare qualche telecamera: “Non voleva che il vicino lo sapesse” spiega la cognata, ma sarebbe stato impossibile piazzare un occhio elettronico senza che l’unico altro residente della borgata se ne accorgesse.
Le case di Angelo Giordana e Stefano Giordano sono quasi affiancate l’una all’altra. Poco più in su, oltre la strada, c’è l’abitazione di Osvaldo Audisio e della sua famiglia. Audisio è coimputato nel processo ma i congiunti di Giordana assicurano che con lui non c’era mai stato nessun problema, almeno per quanto ne sapevano. Quel venerdì fu proprio Audisio a presentarsi da loro a Borgo San Dalmazzo, accompagnato da Giordano, per avvisarli che non avevano notizie del vicino da tre giorni: avevano sentito abbaiare Rocky, il suo cane, e più volte nell’arco della giornata lo aveva cercato il signor Lorenzo Audisio, quello che ogni fine settimana passava per acquistare il miele, ma Angelo non gli aveva risposto.
Ai Giordana era sembrato strano che i due vicini, e soprattutto Stefano, si fossero scomodati per avvertirli. Ancor più strano che conoscessero il loro indirizzo di Borgo. Si erano messi in viaggio per Tetti con due macchine e Nicoletta era arrivata sul posto prima dei genitori, intuendo subito che qualcosa non andava: “Ho visto che non usciva fumo dalla canna della stufa e ho pensato che mio zio si fosse sentito male dopo essersi chiuso in casa”. Ma a parte questo, in quel posto c’erano davvero troppe anomalie. Per esempio il fatto che la fontana in pietra lungo la strada sterrata fosse chiusa: il vecchio contadino d’inverno lasciava sempre scorrere un filo d’acqua, per evitare che i tubi congelassero. O le luci accese nel fabbricato che una volta era stato una stalla e ora serviva da magazzino e deposito.
Nicoletta aveva trovato la pesante porta di legno dell’ingresso accostata, eppure non riusciva ad aprirla: l’aveva spinta piano, nel buio più fitto, sentendo solo un fruscio e l’abbaiare del cane. Quando si era aperta uno spiraglio sufficiente a far luce con il cellulare, aveva visto anche lui: disteso supino e senza vestiti in mezzo a una montagna di rifiuti e cartacce, un caos di oggetti incomprensibile per un uomo descritto da tutti come metodico e ordinato. “Non c’era più niente di mio zio in quella casa”, ricorda la nipote. E anche in quella stanza troppi particolari che non tornavano: il tubo della stufa sradicato, la cenere fresca in un camino che nessuno usava più da anni. Fuori le macchie di sangue, quelle che subito non avevano notato, sparse in tutto il cortile, sulla scaletta, davanti alla porta del vicino Stefano.
Anche Stefano si era presentato in cortile, di lì a poco, senza dire una parola. Aveva portato una lampadina di ricambio, perché quella della stanza in cui il suo vicino giaceva cadavere si era fulminata. Non una domanda da quell’uomo che un tempo era perfino un buon amico di Angelo Giordana, tanto che quest’ultimo lo aveva aiutato in vari lavori quando si era trasferito a Tetti Dietro Colletto. Cosa sia successo dopo, i suoi parenti non lo hanno mai capito davvero: “Probabilmente non era facile vivere lassù” ammette la cognata del montanaro di Entracque. Sembra l’unica certezza, almeno per ora.
Andrea Cascioli
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