Caso Myrtaj, non fu omicidio. Ma c’è un indagato per l’arma nascosta
Il falegname albanese morì a Vernante colpito da un proiettile. Le perizie indicano uno sparo accidentale o un suicidio, resta però l’occultamento della pistolaNon un omicidio, ma un suicidio o uno sparo accidentale per un tragico incidente: a un anno dalla morte di Klaudio Myrtaj, il 34enne ucciso da un colpo di pistola in una falegnameria di Vernante il 4 novembre 2023, questa è la verità che gli investigatori ritengono di aver appurato dopo le perizie.
Alle stesse conclusioni, indicate come le più probabili, i carabinieri erano giunti già poco dopo la tragedia. Ma la Procura voleva avere tutte le carte in mano, sia l’esame balistico affidato a Stefano Conti sia quello del Centro regionale antidoping di Orbassano, diretto dal professor Paolo Garofano, che è subentrato “in corsa” ai Ris di Parma negli accertamenti medico-legali e solo da poco tempo ha consegnato i risultati: per questo poco o nulla è trapelato in un anno intero.
Ora si apprende anche che c’è una persona indagata per la detenzione illegale della pistola, una calibro 22, che gli investigatori non trovarono nel primo sopralluogo. L’arma, munita di un silenziatore artigianale, era ricomparsa nei giorni successivi in quel garage nel cortile del municipio, dove ha sede la piccola attività di un falegname: gli inquirenti non confermano - né smentiscono - che sia lui l’indagato.
Forse un tragico gioco, improvvisato al sabato pomeriggio, quando secondo le testimonianze Myrtaj era tornato un po’ “alticcio” da un pranzo con il suo titolare. I due poi si sarebbero separati: poco prima delle 16 l’ultimo messaggio alla fidanzata, meno di un’ora dopo il ritrovamento dell’uomo a terra, agonizzante. Ma non è escluso nemmeno che lo sparo sia il frutto di un gesto disperato. Lo fanno pensare alcuni post che l’albanese, arrivato in Italia da un paio d’anni, aveva scritto su Facebook nei giorni precedenti. Di certo fu un colpo sparato male, come aveva osservato il procuratore Onelio Dodero già dopo i primi esami: la mano tremante di un suicida o quella di una persona che non si rendeva conto del pericolo, appunto.
Nessuna premeditazione, nessun omicidio passionale come aveva ipotizzato qualcuno, chiamando in causa la burrascosa relazione del 34enne con una cameriera di Limone: era gelosissimo e possessivo, dicono tutti. Ma nemmeno un delitto dai moventi più oscuri, una vendetta da far risalire a qualcosa che “il biondino”, come alcuni lo chiamavano a Vernante, avrebbe detto o fatto quando era in Albania. Questa era l’altra ipotesi affacciatasi in un orizzonte di voci di paese, supposizioni e frasi dette a mezza bocca.
La verità è diversa, ma non esclude una responsabilità in capo a chi ha fatto sparire e poi ricomparire la pistola. Un gesto dettato dal panico o un tentativo, abbastanza maldestro, di confondere gli investigatori: questo è l’unico eventuale profilo di colpa su cui si dovrà fare luce.
Andrea Cascioli
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