Centallo, botte e minacce all’ex moglie: 'Porto i figli in Africa con me'
L’uomo aveva maltrattato la compagna anche quando era incinta e davanti ai due figli autistici. A metterlo nei guai una lettera con ammissioni compromettentiCome in un classico giallo è stata una lettera a incastrare il cittadino congolese J.K.M., a processo per maltrattamenti in famiglia. Ma i fatti, aggravati dall’essere stati commessi contro la moglie incinta e alla presenza dei figli minorenni, non hanno in sé nessun fascino romanzesco.
La denuncia della donna è arrivata nel 2016, quando ormai la coppia si era separata da tre anni, perché l’uomo aveva chiesto e ottenuto l’affido congiunto dei due figli. Secondo l’ex moglie si trattava di una mossa motivata non dalla volontà di essere più presente nella loro vita ma dal desiderio di ottenere metà degli assegni di invalidità che spettavano ai bambini, entrambi autistici.
Di qui la decisione di riaprire un capitolo doloroso del passato, raccontando i tentativi di isolarla dagli amici e di controllare la sua vita in ogni aspetto, i litigi, le minacce velate, fino agli insulti e alle botte. A pesarle più di tutto erano le continue richieste sessuali, le pretese di avere rapporti anche quando lei dormiva o aveva la febbre alta - pretese alle quali la moglie diceva di acconsentire per non “peggiorare la situazione”. I due si erano conosciuti a Bologna e avevano convissuto a Centallo fin dal 2009. Qui gli screzi si sarebbero fatti più seri, sfociando in autentiche persecuzioni: il marito, oltre a controllare il cellulare e le uscite della moglie, avrebbe preteso addirittura che lei lasciasse la porta aperta quando andava in bagno, per essere sicuro che non sfuggisse alla sua sorveglianza nemmeno lì.
Con la vicina di casa, testimone indiretta delle frequenti liti coniugali, la donna aveva concordato una specie di codice: se durante le discussioni la sentiva pronunciare una certa parola, la vicina avrebbe dovuto avvertire le forze dell’ordine perché voleva dire che era in atto un’aggressione fisica. Oltre alle botte c’erano poi le minacce, di cui erano stati testimoni anche altri, in particolare quella di tornare in Africa con i figli per impedirle di vederli.
Dopo il divorzio J.K.M. si è comunque rifatto una vita con una nuova compagna, dalla quale ha avuto altri tre figli. Oggi lavora e paga gli alimenti, e in tribunale ha ammesso le sue responsabilità pur negando di aver mai messo le mani addosso all’ex moglie: “Sono stato spesso assente e riconosco di non essere stato un bravo marito e forse neanche un buon padre, all’epoca. Chiedo scusa alla mia ex moglie per questo”. Al di là di quanto dichiarato da lei, l’elemento di prova più consistente a suo carico è rappresentato da una lettera in cui l’uomo ammetteva i maltrattamenti. In un primo tempo l’imputato aveva smentito di aver mai scritto quelle parole, rifiutando più volte di sottoporsi alla perizia calligrafica. Solo questa mattina, nel corso dell’ultima udienza, ha invece riconosciuto di esserne l’autore.
Il giudice l’ha condannato, escludendo le aggravanti richieste dall’accusa, alla pena di un anno e quattro mesi con sospensione condizionale, più 5mila euro di risarcimento.
a.c.
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