Cuneo, botte e ricatti per obbligare ''l’amica’’ a prostituirsi: condannata una donna rumena
L’imputata ricattava anche un amico italiano di lei, al quale sottrasse 36mila euro promettendo di liberarla. La fine dell’incubo dopo l’intervento di una onlus anti-racketL’incubo era cominciato prima ancora di arrivare in Italia, quando Viorela (nome di fantasia) risiedeva nel suo Paese, la Romania, insieme al marito e ai tre figli. Qui una sua conoscente, S.F., le aveva proposto di far fronte alla difficile situazione economica della famiglia ricevendo uomini in casa all’insaputa del marito.
La triste vicenda era andata avanti anche dopo che Viorela si era separata dal marito e trasferita a Cuneo nel maggio 2012, accompagnata dalla donna che l’aveva avviata alla prostituzione e che intendeva continuare a servirsi di lei, se necessario con le maniere forti. Le botte, quelle dispensate dalla protettrice e da un complice rimasto ignoto. Ma anche le minacce alla famiglia lontana e i ricatti che S.F. formulava per convincerla a “battere” senza fare troppe storie nell’area della stazione di Cuneo: il corpo di Viorela fruttava 50 euro a incontro, soldi che l’“amica” si impegnava a girare in parte alla famiglia di lei, senza poi ottemperare alla promessa. Se Viorela, costretta a portare ai suoi sfruttatori almeno 500 euro al giorno, cercava di ribellarsi o di trattenere qualcosa per sé, veniva pestata e rimandata in strada.
Nemmeno l’intervento di un cliente italiano, con il quale la donna aveva intrecciato un’amicizia e poi una relazione sentimentale, sarebbe bastato a liberarla. S.F. induceva Viorela a farsi versare soldi dall’uomo, tanti soldi, promettendo che in cambio del denaro l’avrebbe lasciata andare: in questo modo avrebbe spillato la bellezza di 36mila euro al ricattato, senza che nulla cambiasse per Viorela. Dopo due anni di questa vita e un fugace ritorno in Romania, dove l’allora 35enne S.F. era anche finita in carcere per reati analoghi, Viorela aveva deciso di mettere la parola fine a tutto questo.
Ad aiutarla erano stati i volontari di un’associazione cuneese che si occupa di assistenza ai senzatetto. Erano stati loro i primi a raccogliere le confidenze della donna e a segnalare il suo caso ai promotori del progetto missionario 72 Ore Per Cristo, gestito dalla onlus evangelica Beth Shalom. Da novembre 2016 i membri della onlus, impegnata nel recupero delle ragazze che vogliono uscire dal racket della prostituzione, hanno aiutato Viorela a ricostruirsi una vita in Italia, dove oggi lavora: “È stata lei a fare il nome di S.F. e a raccontare di come veniva sfruttata e picchiata” ha spiegato Gennaro Chiocca, rappresentante dell’associazione Beth Shalom. Uscire dal “giro” però non le è stato facile: “Ha sofferto di insonnia e crisi d’ansia, temeva che i suoi figli venissero minacciati. Oggi è molto felice della sua nuova vita e vorrebbe scrivere un libro per aiutare le altre ragazze come lei”.
Ad avvalorare la denuncia presentata da Viorela alla polizia hanno contribuito l’analisi dei tabulati telefonici tra il suo cellulare e quello di S.F. e l’elenco dei movimenti bancari sul conto di quest’ultima, dove si trovava traccia fra l’altro dei numerosi versamenti in tranches da 2mila o 5mila euro effettuati dal fidanzato italiano di Viorela dietro la falsa promessa di liberazione. Il sostituto procuratore Carla Longo, che ha chiesto la condanna a tre anni di carcere per l’imputata, ha ripercorso il sofferto racconto della parte offesa: “Ha riferito fra l’altro di essere stata mandata in strada la sera stessa del suo arrivo in Italia, malgrado avesse le mestruazioni”. Per la difesa, l’avvocato Elisabetta Agnello ha chiesto l’assoluzione dell’imputata menzionandone l’incensuratezza e il fatto che lei stessa si prostituisse insieme alla presunta vittima.
Il collegio giudicante presieduto da Marcello Pisanu ha comminato una condanna più alta di quanto richiesto dall’accusa, fissando per S.F. la pena di sette anni di carcere e 5mila euro di sanzione.
a.c.
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