Due anni e sei mesi a una maîtresse: era accusata anche di sequestro
La donna, una 55enne brasiliana, era stata denunciata da una connazionale che affermava di essere stata rinchiusa e costretta a prostituirsiSono cadute le accuse più gravi a carico di S.F.C., la donna di nazionalità brasiliana rinviata a giudizio per sequestro di persona e sfruttamento della prostituzione dopo la denuncia di una connazionale nel giugno di due anni fa. Per la sola ipotesi di favoreggiamento della prostituzione l’imputata, classe 1969, residente a Saluzzo, è stata condannata dal giudice Giovanni Mocci a due anni e sei mesi di carcere.
L’indagine a suo carico era partita da una segnalazione del console onorario del Brasile a Venezia, raggiunta da una ragazza che le aveva raccontato di essere stata segregata a Cuneo. La giovane era da poco in Italia e non conosceva la lingua: affermava inoltre di non sapere dove si trovasse l’appartamento in cui era stata rinchiusa. Solo leggendo una bolletta aveva individuato l’indirizzo presunto e chiesto aiuto alla rappresentante diplomatica del suo Paese, tramite il cellulare. Dalle ricerche sull’utenza telefonica, intestata alla zia della persona offesa, è emerso in seguito che il numero della brasiliana era associato a un’inserzione su un sito d’incontri a luci rosse.
Gli agenti della Squadra Mobile della Questura l’avevano rintracciata in un alloggio di via Schiaparelli, al civico 12. Qui i poliziotti avevano identificato anche la presunta maîtresse e trovato un’agenda su cui erano trascritte varie somme di denaro, ritenute provento dell’attività di lenocinio. In aula l’imputata ha ammesso di svolgere a sua volta l’attività di prostituta e di aver aiutato la connazionale, presentatale dalla zia: “Mi sono convinta che quando lei è arrivata in Italia fosse già tutto organizzato, per farle avere il permesso di soggiorno. Qualcuno deve averle detto che facendo una denuncia per sequestro avrebbe avuto maggiori possibilità di ottenere un permesso e di non essere espulsa”.
Al termine dell’istruttoria il sostituto procuratore aveva chiesto una condanna a tre anni per entrambi i capi d’imputazione, pur inquadrando la vicenda in un “contesto domestico”: “Non stiamo parlando di quei fenomeni che conosciamo dalla cronaca giudiziaria, dove è implicata la criminalità organizzata e c’è una vera tratta”. Anche il sequestro di persona, a giudizio dell’accusa, era provato almeno per un intero pomeriggio: a dimostrarlo il fatto che la donna avesse inviato note vocali nelle quali affermava di essere “rinchiusa” e non avesse ricevuto nessun cliente. Quanto allo sfruttamento, il procuratore ha rilevato che “la divisione delle spese di casa è già un vantaggio economico, perché è un risparmio di spesa. Ad avviso della Procura, quello dell’imputata è stato un vero investimento sull’attività della persona offesa”.
Gli avvocati Stefania Martino e Alessandra Piano, per la difesa, si sono concentrate invece sulle “numerose lacune” dell’autrice della denuncia, che sarebbero emerse sia dalle prime dichiarazioni che in incidente probatorio. Rilevante, a giudizio dei legali, il fatto che lei stessa si fosse messa in contatto con uno studio fotografico di Torino per realizzare foto nuda e in lingerie: “Sapeva che cosa andasse a fare e l’ha chiesto lei stessa. E la zia lo sapeva a sua volta, infatti ha chiesto all’imputata di aiutarla con la lingua”. Se davvero fosse stata sequestrata, hanno osservato inoltre le legali, “sarebbe potuta uscire per chiedere aiuto. Tutto questo non è stato fatto. Era lei che apriva la porta ai clienti”.
Andrea Cascioli
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