Emanuele Scieri fu ucciso in caserma: condannati due ex caporali della Folgore
La sentenza della corte d’assise di Pisa dopo quasi 24 anni dalla morte del militare di origine cuneese. Non fu un suicidio, ma un atto di nonnismoLa Corte d’Assise del Tribunale di Pisa ha condannato a 26 e 18 anni di reclusione Alessandro Panella e Luigi Zabara, i due ex caporali della Folgore accusati dell’omicidio di Emanuele Scieri. Per loro la Procura di Pisa, rappresentata dai pm Alessandro Crini e Sisto Restuccia, aveva chiesto 24 e 21 anni.
Il parà di leva, nato a Cuneo da famiglia siracusana, aveva ventisei anni quando fu trovato morto nella caserma “Gamerra” di Pisa, ai piedi di una torretta utilizzata per asciugare i paracadute. Era il 16 agosto 1999. Ci sono voluti ventiquattro anni per arrivare a una verità processuale: il caso fu inizialmente archiviato come suicidio. Nel 2018 l’arresto di Alessandro Panella, all’epoca caporale e capocamerata di Scieri: uno dei “nonni” che avevano preso di mira il 26enne, ribellatosi ad alcuni atti di sopraffazione. Secondo la commissione d’inchiesta parlamentare, nella “Gamerra” avvenivano “gravi atti di violenza, non riconducibili a semplice goliardia”.
La Procura di Pisa aveva chiesto il rinvio a giudizio anche per l’allora comandante della Folgore, il generale Enrico Celentano, per l’aiutante maggiore Salvatore Romondia e per il sottufficiale Andrea Antico, accusati di favoreggiamento e assolti dal gup dopo un processo in abbreviato. Con l’imputazione di omicidio volontario aggravato sono stati invece condannati Panella e Luigi Zabara, che oggi hanno 43 e 45 anni rispettivamente. Oltre alla pena detentiva, la Corte ha condannato Panella, Zabara e il ministero della Difesa, quale responsabile civile, a risarcire alla famiglia una somma che verrà quantificata in separato giudizio. In favore di Isabella Guarino, la madre della vittima, è stata disposta una provvisionale di 200mila euro, 150mila per il fratello Francesco.
Secondo le indagini, Scieri morì dopo essere stato vittima di pesanti atti di nonnismo. I caporali gli avevano contestato l’uso del telefono e lo avevano obbligato a effettuare numerose flessioni sulle braccia, colpendolo con pugni alla schiena e schiacciandogli le dita delle mani con gli anfibi. In seguito il parà era stato costretto ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della torre, dall’esterno, con le scarpe slacciate e facendo forza solo sulle braccia. Sarebbe stato allora che Panella lo raggiunse percuotendolo dall’interno della scala, per poi farlo precipitare con un violento colpo al dorso del piede, mentre Scieri cercava disperatamente di appoggiarsi su uno degli anelli di salita. Il giovane cadde da dieci metri, riportando gravissime lesioni, e venne abbandonato quando era ormai agonizzante.
Il verdetto della Corte, presieduta dal giudice Beatrice Dani, sarebbe dovuto arrivare il 14 giugno scorso. Dopo sei ore di camera di consiglio, però, i giudici avevano chiesto di sentire tre donne inserite nella lista testi del pm durante la prima inchiesta, condotta all’indomani della tragedia. La testimonianza delle tre donne era stata ritenuta necessaria perchè proprio in quei giorni di ventiquattro anni fa frequentavano i caporali accusati dell’omicidio.
Corrado Scieri, il papà di Lele, è morto nel 2011 senza poter assistere alla riapertura dell’inchiesta. Ex funzionario delle Dogane di Cuneo, nel 2007 aveva pubblicato insieme alla moglie il libro-denuncia “Folgore di morte e libertà”. Dopo la lettura della sentenza Francesco Scieri ha commentato: “Mio fratello non ci sarà restituito ma adesso c'è una verità, quella che noi abbiamo sempre voluto, sia io che i miei genitori. Hanno lottato fino allo stremo per avere questa giornata così importante e finalmente una sentenza di condanna per i colpevoli, per quelli che hanno sbagliato. Noi volevamo la verità e così oggi è stata scritta una pagina di verità”.
Andrea Cascioli
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