‘I guanti degli operai Michelin non proteggono dalle sostanze cancerogene’
L’accusa del perito chimico in un nuovo processo contro l’azienda di Ronchi: ‘L’industria della gomma è ancora a rischio tumori’Il processo è un altro, ma la vicenda giudiziaria è identica a quella già affrontata la settimana scorsa in una diversa aula del palazzo di giustizia di Cuneo. E in molti altri procedimenti dello stesso tipo. Si torna a parlare della sicurezza sul lavoro in Michelin, o meglio di quale fosse il rischio di contrarre malattie per chi nello stabilimento di Ronchi ha lavorato tra gli anni Settanta e Novanta.
Le eventuali responsabilità dei due ex direttori della fabbrica chiamati a giudizio, il 94enne G.B. e il 75enne R.M., riguardano il passato più o meno remoto dell’azienda. Nel processo odierno, per esempio, si discute del tumore vescicale contratto da M.D., che è stato impiegato come manutentore dal 1970 al 1989 e poi dal 1990 al 1993 in alcuni dei fabbricati più a rischio.
L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Gianluigi Datta, ha chiamato a deporre il dottor Ivo Pavan, chimico industriale ed ex direttore del laboratorio di tossicologia e igiene del lavoro del CTO di Torino. Pavan non è un consulente del processo ma ha svolto perizie su casi analoghi: sarebbero una decina, infatti, i tumori vescicali riscontrati tra gli ex operai addetti alla vulcanizzazione delle gomme.
Il rischio cancerogeno in questo ambito industriale, spiega il chimico, dipende dalla presenza di determinati componenti chimici nella mescola delle gomme: quelli più pericolosi sono gli oli minerali utilizzati come plastificanti, che possono contenere piccole percentuali di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
Alcuni di questi IPA sono classificati come cancerogeni certi e possono provocare tumori ai polmoni, alla vescica e soprattutto alla cute. Secondo le agenzie internazionali di ricerca sul cancro, i fumi della gomma calda possono quindi dare origine a un mix di sostanze cancerogene: “Un problema tipico dell’industria della gomma - chiarisce l’esperto - è l’esposizione bassa ma estesa a tanti agenti cancerogeni concomitanti”. A ciò va aggiunto il fatto che “fino al 1984 in Michelin erano impiegate anche le ammine aromatiche”, poi bandite per ragioni di salubrità.
Il consulente della Procura riconosce che a Ronchi sono stati fatti molti passi avanti a tutela dei lavoratori: “I fabbricati hanno conosciuto un’evoluzione tecnologica, rispetto agli anni in cui operavano le persone che si sono ammalate, in parte grazie agli adeguamenti strutturali per rimuovere l’amianto”. Oggi nel famigerato fabbricato 33, sede di alcune delle lavorazioni più a rischio, esiste una separazione fisica tra la zona di vulcanizzazione e quella di preparazione dei semilavorati, che limita l’esposizione ai fumi.
Solo a partire dagli anni Duemila, però, l’azienda ha installato su indicazione dello Spresal i sistemi di aspirazione localizzata su tutti i macchinari: un meccanismo di contenimento dei fumi che in precedenza non esisteva e che Pavan definisce “particolarmente buono”.
Oltre al rischio di inalazione, esiste quello di contatto cutaneo con le sostanze cancerogene. E su questo punto, secondo il parere del testimone, resta molto da fare: “Tutte le ispezioni condotte in Michelin, anche nel 2016 e nel 2019, dimostrano che la tipologia di guanti utilizzata in fabbrica non garantisce per il rischio cutaneo”.
I guanti forniti non sarebbero adatti a evitare la penetrazione degli agenti chimici, anzi agirebbero “come un impacco”: “Se si usa per ore un guanto sporco, magari durante il periodo estivo, questo comincia a cedere progressivamente le sostanze di cui è impregnato anziché trattenerle all’esterno”.
Il prossimo 11 ottobre il processo per lesioni personali colpose andrà avanti con altri testi della Procura.
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