L’“orinatore seriale” di Borgo condannato per atti osceni e lancio di oggetti
Secondo le testimonianze l’uomo era solito orinare dal balcone: all’origine delle intemperanze le liti coi vicini. Il pm aveva chiesto anche l’espulsione dall’ItaliaA chi ricorda il terzo capitolo della saga cinematografica di “Amici miei” la vicenda che stiamo per raccontare non potrà non far correre la memoria alla scena in cui Gastone Moschin, insofferente alle regole dell’ospizio di cui è ospite, si affaccia dal balcone minacciando di “innaffiare” i presenti.
Solo che in questo caso la minaccia si sarebbe fatta concreta - e non per una volta soltanto. Z.A., maghrebino residente a Borgo San Dalmazzo, si è trovato a processo per atti osceni in luogo pubblico e lancio di oggetti, con contestazioni riferite a due episodi del giugno e del settembre 2020. Sui fatti accaduti in quest’ultima occasione ha testimoniato una signora che quel pomeriggio era in casa con i nipoti: “Ho sentito il suono di vetri infranti contro il muro, mentre un uomo urlava e inveiva”. L’abitazione, nella centrale via Roma, si trova a una cinquantina di metri dalla scuola elementare e in prossimità di un parco giochi. Per evitare che qualche bimbo di passaggio potesse ferirsi la signora era scesa a raccogliere i cocci.
Qui l’aveva raggiunta lo stesso Z.A., un vicino che conosceva solo di vista: “Mi ha detto che non ce l’aveva con lui ma con alcuni vicini romeni. Si è scusato e ha raccolto insieme a me i vetri, ammettendo di aver tirato le bottiglie. Da come si comportava si capiva che avesse bevuto, aveva l’alito vinoso e un’andatura un po’ traballante”. La nuora della signora, intanto, aveva avvisato i carabinieri perché preoccupata da quanto accaduto: i militari avevano quindi raccolto le testimonianze e identificato il presunto lanciatore.
Che i rapporti tra il maghrebino e la famiglia dell’Est Europa da lui chiamata in causa non fossero distesi lo conferma la signora di origine rumena che all’epoca viveva di fianco all’alloggio di Z.A.: “Ce l’aveva con noi, ma non so perché. Non gli ho mai parlato, appena lo vedevo insultarmi rientravo in casa per non discutere. Una volta l’ho visto e ho sentito cadere dell’acqua, era lui che orinava dal balcone. Mi urlava di essere pazzo, di essere stato in galera. In seguito ci siamo trasferiti, ma non a causa sua”. Molteplici, a detta della donna, sarebbero stati gli episodi di minzione “pubblica”: “Era successo altre volte che buttasse cose dal balcone, gridava ‘romeni di m…, ti arrangio’ e minacciava. Non ricordo se quel giorno si fosse tirato giù i pantaloni, sicuramente lo ha fatto in altre occasioni: si calava i pantaloni e orinava. Una volta se li è calati davanti a mia figlia di dieci anni, c’ero anch’io e l’ho fatta subito rientrare in casa”.
Proprio la presenza della bambina ha indotto la Procura a contestare l’imputazione di atti osceni: un reato quasi del tutto depenalizzato nel 2016, ma ancora sussistente nel caso in cui sussista il pericolo che soggetti minorenni possano assistervi. Il pubblico ministero Alessandro Borgotallo si è soffermato sulla molteplicità delle condotte contestate e sul rischio rappresentato dai lanci di bottiglie: “I vetri avrebbero potuto ferire i bambini che passavano di lì per andare al parco giochi”. A fronte della recidiva infraquinquennale, il procuratore aveva chiesto per Z.A. un anno di reclusione e l’espulsione dall’Italia. L’avvocato Davide Basso ha rimarcato per contro l’imprecisione con cui i testi avrebbero ricostruito i fatti, nonché la circostanza che “la signora afferma di aver sentito i vetri cadere, ma non di aver visto l’imputato tirare le bottiglie”.
Il giudice Elisabetta Meinardi ha condannato il maghrebino a quattro mesi di arresto per un singolo episodio di atti osceni e a venti giorni di arresto per il lancio di oggetti, disponendo la revoca della sospensione condizionale concessa in precedenza.
a.c.
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