Morì sotto una frana nella cava di Robilante: il pm chiede tre condanne
Il giudice ha disposto una nuova perizia sull’incidente costato la vita a Danilo Dalmasso. Il palista 42enne di Vernante fu investito da un cumulo di silicioL’ultima persona che ha visto vivo Danilo Dalmasso dice che stava lavorando “tranquillamente”: un particolare che ha colpito il consulente del pubblico ministero, il professor Claudio Oggeri. “Vuol dire che non stava percependo un pericolo” ha osservato l’ingegnere del Politecnico di Torino, esperto di scavi.
Dalmasso, originario di Vernante e residente a Borgo San Dalmazzo, lavorava come escavatorista per la ditta Dovero Scavi. Aveva 42 anni e una moglie che lo aspettava a casa, anche quel mattino di marzo del 2019. Non sarebbe mai tornato. La pala meccanica che guidava finì seppellita sotto tonnellate di sabbia silicea. Era un sabato mattina, alla cava Sibelco di Robilante non c’era quasi nessuno: non si sa, di preciso, per quanto tempo sia rimasto lì sotto. Per la sua morte la Procura ha chiesto la condanna di tre persone: dieci mesi per il direttore della cava, F.S., e per il datore di lavoro di Dalmasso, E.D., sette mesi per V.C., il supervisore di produzione della Sibelco incaricato di seguire le ditte esterne.
La discussione tra i consulenti di accusa e difesa, ha ricordato il sostituto procuratore Attilio Offman, si è incentrata sul fatto che vi fosse o meno una condotta alternativa che avrebbe potuto evitare la tragedia: il professor Oggeri sostiene di sì. Se si fosse rispettato l’angolo di riposo del cumulo, la frana non sarebbe caduta. Ma per quello, sottolinea, “bisognava probabilmente lavorare sulla gestione del cumulo con altre tecniche o avere un cumulo più basso e uno spazio più ampio per utilizzarlo”. Con un cumulo alto più di trenta metri e così scosceso, invece, il palista non aveva possibilità di salvarsi: “In casi come questi purtroppo non c’è scampo. Non è come la valanga di neve, che magari ti trasporta a centinaia di metri lungo un canalone”. Nel documento di valutazione dei rischi della Sibelco - aggiunge l’esperto - “il pericolo veniva considerato, ma non si suggerivano soluzioni”.
Ma le soluzioni non c’erano, ribatte la difesa. Secondo il consulente di Sibelco Mario Manassero, anche lui professore di ingegneria al Politecnico, a provocare la tragedia è stato l’eccessivo avanzamento della pala all’interno del cumulo, dove si era creata una nicchia: “Se il mezzo avesse operato in maniera corretta, l’escavatore sarebbe stato tuttalpiù toccato al livello della benna e forse su una parte del cofano”. Nelle indicazioni dell’azienda, aggiunge Manassero, questo era scritto chiaramente: “Lo scavo non deve essere approfondito oltre misura localmente e deve svilupparsi in posizione lineare”.
“Era necessario prevedere una procedura, nel momento in cui fosse venuto meno il margine di sicurezza” insiste il pm Offman, rilevando che “non risultano relazioni sulla stabilità del cumulo di stoccaggio da parte di Sibelco”. Era l’azienda proprietaria della cava, afferma, ad aver creato la situazione di rischio. Ma anche la Dovero avrebbe dovuto intervenire: “Tutti i lavoratori hanno detto che era il titolare a dare le istruzioni su come procedere nelle operazioni di escavazione”. Per gli avvocati Bolognesi e Guglielmi, difensori del direttore della cava, “la causa del sinistro non sta nell’altezza, ma nel fatto che è stata creata dal lavoratore una nicchia troppo profonda che ha provocato l’incidente: la prova è nei calcoli dei consulenti”. Non è vero, aggiungono i legali, che Sibelco non avesse previsto un cumulo non rispettoso dell’angolo di riposo: “Lo aveva previsto eccome, stabilendo che il lavoratore interrompesse il lavoro e si rivolgesse ai datori di lavoro”. La legislazione, afferma l’avvocato Gebbia per il titolare della Dovero, ammette i casi in cui la prevenzione è rimessa per intero al lavoratore: “Non si vede quale misura ulteriore e diversa avrebbe potuto porre in essere la ditta Dovero, se non quella di fornire una formazione continua, duratura e adeguata”. Più marginale la posizione del terzo coimputato, il supervisore: “Non è mai intervenuto nella gestione del cumulo, si occupava solo dell’impianto di trattamento” precisa il suo difensore, avvocato Rossi.
Il giudice ha stabilito di incaricare un ulteriore consulente per dirimere la questione su cui si sono affrontati gli esperti delle parti contrapposte. Il conferimento dell’incarico è previsto per il 19 dicembre.
Andrea Cascioli
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