Omicidio Nada Cella, l’indagata accusa il datore di lavoro della vittima: “È lui l’assassino”
In una telefonata alla polizia i sospetti della Cecere: “Chi ha ucciso non poteva uscire insanguinato”. Ma alcuni testimoni parlano di una donna coi vestiti sporchiNada Cella l’ha uccisa il suo capo, il commercialista Marco Soracco. Ne è convinta l’attuale indagata per il delitto, Annalucia Cecere, per la quale la Procura si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. I suoi sospetti, si scopre ora, li aveva esplicitati in una telefonata a un funzionario della Squadra Mobile all’indomani della riapertura delle indagini, nel 2021, venticinque anni dopo l’omicidio di Chiavari.
La trascrizione della telefonata è agli atti. Qualche giorno dopo la convocazione, la sospettata - oggi residente alla Mellana di Boves - aveva chiamato il poliziotto che le aveva preannunciato un imminente interrogatorio: “Ho fatto l’errore di andare a ballare una sera il liscio e c’era pure questo commercialista. E basta. Io con il delitto di Nada non c’entro. È stato lui. Arrestatelo”. Non potrebbe essere altrimenti, sostiene, “perché chi ha ucciso quella ragazza si è sporcato di sangue e non poteva uscire dal palazzo in quel modo”. Analoghe considerazioni le avrebbe fatte in un’altra telefonata, parlando con un’amica: “Non è che qualcuno viene da Bolzano o dalla Norvegia ad ammazzare una segretaria di Chiavari. Questo delitto è stato fatto lì. Voglio che le indagini si allontanino da me e che partano da dove sono iniziate”.
Obiezioni sensate, le sue, contro cui gli investigatori si sono scontrati fin da quel 6 maggio 1996, quando la segretaria 24enne fu ritrovata in una pozza di sangue nell’ufficio in cui lavorava, in via Marsala 14. Ed è per questo che i primi e più concreti sospetti si appuntarono proprio sul datore di lavoro di Nada: era l’uomo che aveva ritrovato la vittima agonizzante, abitava al piano di sopra con la madre e la zia. All’epoca si riteneva anche che avesse un concreto movente: un interesse sentimentale verso la segretaria, non ricambiato. O forse, sulla scorta di quanto dichiarato da un collega di Soracco, la volontà di coprire qualche strano traffico di denaro di cui Nada era a conoscenza. Traffici di cui si è ricominciato a parlare, rivalutando le dichiarazioni dello zio della vittima: Nada voleva andarsene da quell’ufficio. E Soracco sarebbe stato il colpevole ideale, tanto più che fu sua madre, Marisa Bacchioni, a ripulire le scale dal sangue, forse cancellando prove fondamentali. Una decisione incredibile, che a tutt’oggi qualcuno continua a ritenere troppo sconsiderata, per poterla derubricare a una semplice disattenzione.
Eppure gli inquirenti di allora si convinsero che Soracco non avesse ucciso e su questo concorda anche chi ha svolto le nuove indagini, sebbene il commercialista sia a sua volta accusato - insieme alla madre, ormai 91enne - di false dichiarazioni e favoreggiamento. “Il killer - osserva il pm Gabriella Dotto - ha agito in un impeto d’ira. Soracco, se fosse stato lui, avrebbe certamente finito Nada proprio per paura che, se mai si fosse ripresa, avrebbe potuto svelare il nome dell’assassino. Soracco è stato indagato per anni e sottoposto a ogni pressione investigativa ma ha sempre avuto uno straordinario autocontrollo”. Contro il datore di lavoro di Nada non si trovarono indizi di nessun tipo: niente macchie di sangue, niente reperti biologici, niente arma del delitto. Quest’ultima, sostiene oggi la Procura dopo una perizia, potrebbe essere duplice: una pinzatrice e un fermacarte di onice, già repertati ai tempi. Oggetti con una storia singolare, perché la pinzatrice fu addirittura adoperata dagli agenti della Scientifica che la ritenevano inutile alle indagini, avendola trovata pulita e riposta in un cassetto. Il sospetto è che la Bacchioni possa averla lavata e rimessa a posto. Quanto al fermacarte, gli accertamenti sul Dna non hanno dato esito.
Ma allora, come ha fatto l’assassino a uscire dal condominio in pieno giorno, verosimilmente insanguinato, non visto da nessuno? La grande domanda del 1996 è la stessa di oggi. Con una differenza nella risposta, perché numerosi elementi indiziari inducono la Procura a ritenere che a compiere il delitto sia stata una donna, non un uomo. Ci sono le rivelazioni della famosa “signorina”, la voce anonima che per tre mesi raccontò al telefono di aver visto una certa Anna uscire “tutta sporca” e infilare qualcosa nel vano del motorino, parcheggiato proprio in via Marsala. Quella persona aveva minacciato di “spaccare la testa” a qualcuno e l’autrice delle telefonate aveva preso sul serio l’affermazione: “Abbiamo parlato con qualche ragazza tra noi e abbiamo detto ‘ce l'ha l'ardire’”. Di una ragazza parlano anche i due testimoni che dissero di averla vista aggirarsi con una mano sanguinante in piazza Cavour, a due minuti da via Marsala, e il passante che raccontò di aver notato una giovane in motorino, con indosso una giacca color senape, proprio in via Marsala. Annalucia Cecere abitava a poche decine di metri dallo studio Soracco e una sua vicina dichiarò di averla vista uscire presto, quella mattina. Senza dimenticare le quattro telefonate in ufficio di una cliente del commercialista, Giuseppina Vaio: alle ore 8,45 non aveva risposto nessuno. Intorno alle 9, per due volte, una donna aveva alzato la cornetta e replicato in modo sbrigativo che il numero era sbagliato. La quarta volta, alle 9,20, aveva risposto Soracco: Nada era a terra e i soccorsi in arrivo. L’assassino, chiunque fosse, aveva già agito.
Secondo il pm un lapsus della Cecere, nella telefonata in cui accusa Soracco, contribuisce semmai a rafforzare i sospetti contro di lei. L’indagata infatti afferma: “Chi l’ha fatto non è mai uscito dal palazzo, si è lavata”. Attenzione: dice “lavata”, non “lavato”, sebbene si stesse riferendo a un uomo. Forse non significa nulla, forse - e questa è l’opinione della magistrata, che definisce l’errore “curioso” - è anche questo un indizio.
Andrea Cascioli
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