Peveragno, assolto il consigliere querelato dall’ex sindaco Dho
Paolo Ghisolfi aveva accusato l’avversario politico di percepire ‘sette stipendi’: il giudice di pace lo aveva condannato, il tribunale ha ribaltato la sentenzaÈ reato dire di un amministratore locale che “prende sette stipendi”? Se non si tratta di 'stipendi' ma di altri emolumenti sì, almeno secondo il giudice di pace Nicoletta Tomatis che accogliendo queste motivazioni aveva condannato il 31enne peveragnese Paolo Ghisolfi, ritenendo diffamatoria l’affermazione da lui pronunciata nei confronti dell’ex primo cittadino Stefano Dho.
I fatti risalgono al 2015, nell’ambito della campagna elettorale per le comunali che aveva opposto la lista guidata da Dho, allora vicesindaco, a quella dell’attuale sindaco Paolo Renaudi. In Consiglio comunale era stato eletto anche Ghisolfi, candidato con Renaudi contro Dho: quest’ultimo l’aveva in seguito querelato, insieme al pensionato Andrea Bertaina (poi assolto), per aver menzionato la questione dei “sette stipendi” in presenza del sindaco uscente Carlo Toselli e di un’altra candidata della lista a sostegno di Dho.
Il giudice di pace aveva ritenuto fondata l’accusa di diffamazione perché era stato accertato che Stefano Dho percepiva un solo stipendio come dipendente delle Poste, con distacco sindacale in quanto segretario provinciale della Uil. Altrettanto certo, comunque, è che il querelante godeva di indennità e gettoni di presenza per svariati altri incarichi, tra cui quello di vicesindaco di Peveragno, presidente del MIAC e consigliere del Gruppo di Azione Locale.
Ghisolfi era quindi stato condannato a una sanzione di 600 euro, tre volte superiore a quanto richiesto dall’accusa, più il pagamento di 1500 euro di danni alla parte civile e 2mila euro di spese processuali. Contro questa sentenza si è appellato al Tribunale di Cuneo l’avvocato Maurizio Paoletti, obiettando che “in un paese di diritto nessun cittadino dovrebbe essere condannato per aver detto che un sindaco o un parlamentare percepisce uno stipendio quando in realtà si tratta di una indennità”.
Lo stesso Dho, ha rilevato l’avvocato nella dichiarazione di impugnazione della sentenza, affermava di non ricordare con certezza quali e quanti incarichi ricoprisse all’epoca, e di aver ritenuto l’espressione offensiva solo perché non veritiera: “Ghisolfi non è uno studente dell’università cui si chiede in sede di esame la differenza tra indennità e stipendio; è un giovane muratore con la terza media che sta facendo la propria campagna elettorale”.
Ed è proprio nel contesto elettorale che, a giudizio del difensore, andava calata una frase pronunciata con il fine di “promuovere se stesso ed una lista completamente nuova rispetto a chi era da oltre 30 anni sulla scena politica ed aveva fatto per 10 anni il sindaco, per altri 10 anni il vicesindaco ed ora per l’ennesima volta si ripresentava come sindaco; la critica si estendeva poi al fatto che avesse già ricoperto una miriade di incarichi pubblici usando il termine ‘sette’ in modo figurativo ed allegorico”.
Il giudice Sabrina Nocente ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato, assolvendo l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
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