Porno con bambini sul cellulare: condannato dopo l’indagine su una chat di pedofili
L’imputato, un rumeno residente nel Cuneese, si era difeso parlando di files acquisiti per sbaglio. A smantellare il traffico era stata la polizia statunitenseCentocinquantanove immagini e 167 video che ritraevano bambini maschi e femmine in pose esplicite, in alcuni casi anche in atti di masturbazione o in rapporti sessuali. Erano i files presenti sul telefono cellulare di P.E., operaio rumeno residente in un comune alle porte di Cuneo. L’uomo era uno dei dodici italiani individuati tra i 226 membri di un gruppo dedicato allo scambio di materiali pedopornografici.
Il “ritrovo” virtuale era su Viber, una chat di messaggistica istantanea. Qui gli utenti di “Canção da Paz” (“Canto di pace”, in portoghese) chiedevano materiali pedopornografici utilizzando acronimi e abbreviazioni come “hai pedo?”. Viber, una app analoga alla più nota Telegram, consente la creazione di canali ad invito, non rintracciabili tramite normali ricerche. Attraverso i numeri di telefono dei vari utenti, la Homeland Security Agency statunitense è comunque riuscita a risalire a loro.
Dall’America, a fine 2020, era arrivata un’informativa alla Polizia Postale di Torino. Si dava atto che dall’utenza di P.E. era stato inviato un video che ritraeva atti sessuali tra una bambina di età non superiore ai 6 anni e altri soggetti, presumibilmente adulti. “Molto spesso, in quel tipo di canali, la cessione di materiale pedopornografico è l’unica moneta di scambio utilizzata per ottenere altro materiale” ha spiegato durante il processo il dirigente della Postale che si occupò delle indagini: “Dato che aveva pubblicato un video, si cercò di verificare se ne avesse altri”.
Al momento della perquisizione su Viber non c’era nulla, ma nei percorsi dei files di sistema erano stati rintracciati i cosiddetti files thumbs, ovvero le miniature generate dalle immagini che arrivavano in chat: “Questo indica che quei file sono stati visualizzati e solo successivamente eliminati” ha detto il sostituto procuratore Francesca Lombardi, affermando che le dichiarazioni dell’imputato erano state “smentite dalle prove tecniche”. L’operaio affermava infatti di aver scaricato porno legali che contenevano, a sua insaputa, anche i video e le immagini pedopornografici. “Queste immagini non possono essere arrivate in maniera estemporanea, non sono né banner né pop up: sono state visionate e stoccate nel sistema di files del telefono in un secondo momento” ha replicato il pm.
L’avvocato Alberto Bovetti, difensore dell’imputato, ha fornito una versione opposta dell’accaduto: “Non solo l’indagine non ha consentito di accertare che le immagini fossero nella disponibilità dell’imputato, ma ha accertato il contrario all’esito della perquisizione. Dall’analisi di Viber è emerso che il programma era vuoto, su Telegram c’erano solo contenuti pornografici e non pedopornografici”. Nessuna prova, ha ribadito la difesa, “della concreta possibilità per l’imputato di accedere ai contenuti sul suo telefono”.
Il giudice Elisabetta Meinardi ha condannato l’uomo - privo di precedenti specifici - a otto mesi di reclusione, come richiesto dalla Procura, cui si aggiunge una sanzione pecuniaria di 1.040 euro. La pena resterà sospesa alle condizioni di legge.
Andrea Cascioli

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