Ruba gli attrezzi del collega per “vendicare” il cognato, condannato un muratore
Il pm aveva chiesto sei anni per tentata estorsione. Il giudice lo ha ritenuto un “semplice” furto: l’imputato era anche sprovvisto di patente e permesso di soggiornoGuidava un furgone senza patente né permesso di soggiorno, prima di essere fermato da una volante della Polizia sul viadotto Soleri e accompagnato in Questura. Non è questo, tuttavia, il principale motivo per cui un muratore albanese, E.S., è finito nei guai con la giustizia.
A bordo del veicolo, infatti, i poliziotti avevano trovato alcuni attrezzi sottratti a un collega del muratore, un italiano residente a Bernezzo, che aveva lavorato insieme a lui su un cantiere a Caraglio per conto di un’impresa subappaltatrice, intestata al cognato dell’imputato. Nessuno dei due, per la cronaca, era in regola. In Questura il muratore denunciato ha raccontato la sua versione dei fatti: “Sosteneva che il collega avesse a sua volta rubato degli attrezzi a suo cognato: per questo lui si era recato a prenderli nel magazzino aperto, venendo notato dalla sorella della persona offesa che non lo conosceva” ha riferito in proposito l’assistente Marco Aleci della Squadra Volanti. Gli attrezzi, custoditi nel furgone, erano stati quindi riconosciuti e restituiti.
Per la Procura questa condotta configurava un tentativo di estorsione bello e buono, motivo per cui il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a ben sei anni di carcere. In aggiunta alla tentata estorsione si contestava il furto in abitazione, ritenendo che il luogo da cui erano stati portati via gli attrezzi - un capanno di fianco alla residenza del bernezzese - fosse pertinenza del domicilio. “Si è riempito il furgone di attrezzature dell’artigiano: si è realizzato in questo modo un ‘pegno’ per costringere la persona offesa a una condotta, nell’ottica dell’autore, di ‘restituzione’” ha sottolineato il sostituto procuratore Pier Attilio Stea, sottolineando comunque il fatto che non vi fosse certezza sulle responsabilità riguardo al presunto furto sul cantiere, subito dal cognato dell’imputato.
La difesa dell’albanese, rappresentata dall’avvocato Roberto Tesio, ha contestato sia l’ipotesi di una tentata estorsione (“mancano la violenza o la minaccia”), sia quella del furto in abitazione, pur ammettendo la natura “antigiuridica” del comportamento.
Il giudice Marco Toscano ha quindi riqualificato il fatto nell’accusa di furto, condannando l’uomo a un anno e dieci mesi di carcere e a una sanzione pecuniaria di 350 euro.
Andrea Cascioli

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