Sette anni di carcere per la sparatoria a Cervasca: 42enne colpevole di tentato omicidio
Un vero e proprio regolamento di conti quello tra il pizzaiolo calabrese e un albanese residente a Caraglio. Dietro allo scambio di colpi l’ombra del traffico di drogaEra stato un vero e proprio regolamento di conti la sparatoria che nel 2015 a Cervasca portò al ferimento di Andrea Carpino, 35enne di origini calabresi residente in paese, e Klodian Suci, 31enne albanese di Caraglio.
All’origine dello scambio di colpi d’arma da fuoco ci sarebbero dissidi tra i due legati alla droga, almeno secondo la Procura. Per Carpino era stata chiesta la condanna a dodici anni di carcere per tentato omicidio, porto d’armi abusivo e ricettazione: i giudici lo hanno riconosciuto colpevole di tutte e tre le imputazioni, ma hanno fissato la pena in sette anni di reclusione e tenuto conto delle attenuanti generiche. Un processo lungo e macchinoso, quello giunto oggi a conclusione, dopo che la precedente condanna a dieci anni era stata annullata dalla Corte d’Appello di Torino, che aveva disposto il rifacimento dell’istruttoria. Una serie di cambiamenti nella composizione del collegio giudicante ha poi imposto ulteriori rallentamenti.
Questi i fatti: nella notte tra il 21 e il 22 luglio di sette anni fa, Suci si era presentato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Cuneo con due proiettili in corpo, uno alla coscia sinistra, l’altro al malleolo. Le vaghe spiegazioni fornite dal ferito ai carabinieri - presso i quali l’uomo era conosciuto come spacciatore abituale - avevano subito insospettito. I militari si erano quindi dati da fare per ricostruire la dinamica degli eventi e rintracciare l’altro protagonista dello scontro armato. Quest’ultimo era stato individuato nella persona di Carpino, residente a Cervasca in via Cesare Pavese. Contro di lui convergevano vari elementi, a cominciare dal fatto che abitasse proprio di fronte al luogo della sparatoria e che fosse un conoscente personale del ferito, come attestato dai tabulati telefonici. Prima di arrivare a Cervasca, Suci aveva trascorso la serata in una pizzeria di San Pietro del Gallo, in compagnia della fidanzata e di una coppia di amici. Lì sarebbe poi stato raggiunto da un uomo di cui il titolare del locale e un dipendente avevano fornito la descrizione, compatibile con quella del sospettato: un trentenne robusto, con capelli neri e occhiali, che parlava con un forte accento calabrese e che avrebbe intavolato una discussione sulla preparazione della pizza.
Poche settimane dopo il primo interrogatorio, Carpino aveva fatto perdere le sue tracce, forse per timore di una vendetta da parte dell’albanese. I carabinieri l’avevano rintracciato a Boves dove lavorava come pizzaiolo e avevano rinvenuto sotto il sedile della sua auto una pistola rubata, poi risultata incompatibile con l’arma utilizzata dal feritore di Suci. Nel corso della perquisizione domiciliare, Carpino aveva consegnato ai militari un paio di jeans con una lacerazione da scheggia di proiettile. Dall’analisi degli indumenti indossati quella sera dall’indagato sono emersi elementi determinanti per la ricostruzione dei fatti. In base a quanto si è potuto appurare, Carpino sarebbe stato colpito per primo da Suci, con un proiettile calibro 7,65 che miracolosamente aveva centrato la fibbia dei suoi pantaloni, deformata dallo sparo. Dopo essere caduto a terra indenne, l’uomo avrebbe a sua volta estratto una pistola e fatto fuoco all’indirizzo dell’albanese, che nel frattempo si stava dando alla fuga. Sul luogo della sparatoria erano stati ritrovati sette bossoli, due riconducibili a un’arma e cinque a un’altra pistola. Secondo il perito balistico dell’accusa, è ipotizzabile che chi ha sparato i due colpi fosse fermo. L’altro sparatore, identificato con il Carpino, avrebbe invece colpito in movimento.
Il sostituto procuratore Mario Pesucci ha sostenuto che l’imputato avesse una chiara intenzione omicidiaria: “Non si può parlare di un eccesso di legittima difesa e nemmeno di provocazione, siamo di fronte a un contesto illecito di base. Entrambi si erano presentati armati all’appuntamento”. Inverosimile, per il procuratore, la spiegazione fornita da Carpino che aveva detto di aver ritrovato una pistola a terra, dopo essere stato colpito per primo: “Una descrizione che dipinge Cervasca come nemmeno il peggior quadro di Scampia”. Lo stesso imputato, ha ricordato l’accusa, “nel primo interrogatorio ammette di aver sparato a Suci anche mentre stava scappando”. Mai del tutto chiarite le motivazioni della sparatoria, tuttavia uno dei testimoni presenti in pizzeria avrebbe parlato in seguito di un debito riguardante l’acquisto di droga: Carpino, da parte sua, aveva ammesso di essere acquirente del Suci. L’avvocato Alessandra Rizzuto, rappresentante della difesa, ha avanzato dubbi sul fatto che l’incontro tra i due nel locale di San Pietro del Gallo fosse in effetti avvenuto e su alcune circostanze successive: “Non possiamo escludere - ha aggiunto - che la moglie del Suci, presente al momento della sparatoria, fosse a sua volta armata e che avesse portato lei la pistola impugnata da Carpino dopo il ferimento”. Il difensore, in ogni caso, aveva chiesto di riconoscere la legittima difesa o quantomeno l’eccesso colposo.
In un diverso procedimento, Suci aveva già optato per il patteggiamento e definito la sua posizione. Insieme a lui ha patteggiato anche un terzo uomo, arrestato con accuse di favoreggiamento, porto abusivo e detenzione di arma: si tratta di un 31enne, vigile del fuoco di Borgo San Dalmazzo in servizio all’aeroporto di Levaldigi, che aveva aiutato l’albanese a disfarsi della sua pistola.
a.c.
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