Tenda bis, più di 200 tonnellate di ferro furono rubate nel cantiere prima del sequestro
Dirigenti e operai della Grandi Lavori Fincosit avrebbero rivenduto materiali nuovi come rifiuti ferrosi. Anche la dinamite era conservata in modo non idoneo: “Nella galleria c’erano candelotti inesplosi”Ci sono voluti quasi quattro anni esatti, a partire dal sequestro del cantiere, per arrivare all’apertura dell’istruttoria nel processo a carico di vertici e maestranze dell’impresa che dirigeva i lavori per il raddoppio del tunnel di Tenda.
In mezzo un cambio di giudice, la lunga sospensione imposta dall’emergenza coronavirus e la decisione del nuovo titolare del fascicolo di sdoppiare in due il procedimento: una parte consistente, quella relativa alle imputazioni di truffa aggravata, frode nelle pubbliche forniture e falso ideologico, è finita per competenza territoriale a Torino. A Cuneo si procede invece nell’ambito d’inchiesta che ha riguardato i furti nel cantiere, la detenzione di materiale esplosivo e i reati ambientali.
Sul banco degli imputati figurano il direttore tecnico ingegner Antonino Froncillo, i due geometri succedutisi nella carica di capocantiere, Giuseppe Apone e Antonio Palazzo, e gli operai “tuttofare” Nunziante De Rosa e Luigi Mansueto, considerati uomini di fiducia dei dirigenti. Tutti loro sono dipendenti della Grandi Lavori Fincosit, l’impresa che attraverso la ATI con Toto Costruzioni generali spa si era aggiudicata nel 2012 la gara d’appalto per i lavori di costruzione del secondo tunnel. I lavori, incominciati il 21 settembre 2013, si sarebbero protratti a passo di lumaca per i successivi quarantaquattro mesi - prima che un’operazione della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Cuneo, disponesse il sequestro del cantiere gestito da una società consortile creata ad hoc, la Galleria di Tenda scarl.
Le indagini erano partite già a fine 2016 in seguito a strane voci giunte alle orecchie delle fiamme gialle: diverse fonti riferivano che qualcuno nel cantiere rivendeva il gasolio e i materiali da costruzione ricevuti. Da lì erano partiti i posti di blocco lungo la strada della val Vermenagna e la mappatura dei camion che effettuavano la raccolta di materiali ferrosi. Del resto, ha ricordato in aula il luogotenente della finanza Marcello Casciani, quella raccolta non sarebbe dovuta avvenire: “Nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti non era assolutamente compreso il materiale ferroso, anche perché un cantiere come quello del Tenda non avrebbe dovuto produrre rifiuti del genere. Perfino il contabile era rimasto basito nell’apprendere che il cantiere ‘guadagnava’ con il ferro: si lamentava in particolare del fatto che il capocantiere Palazzo non facesse ordinazioni di materiale seguendo il progetto esecutivo dei lavori, ma in base al bisogno momentaneo”.
Secondo gli inquirenti una parte delle centine di ferro che si sarebbero dovute collocare in galleria, insieme a piedritti, tondini e altre componenti, veniva depredata da alcuni addetti del cantiere per essere poi rivenduta. Le prime intercettazioni erano partite a carico dell’operaio De Rosa, il “Nunzio” a cui facevano riferimento i vari rivenditori di rottami ferrosi, e si sarebbero poi allargate agli altri indagati e agli uffici. In termini quantitativi, ha riepilogato Casciani, si è calcolato che tra gennaio 2014 e maggio 2017 siano state sottratte almeno 212 tonnellate di ferro: le centine, pagate 850 euro alla tonnellata dal cantiere, venivano rivendute in nero a prezzi irrisori. Il guadagno dell’operazione è stato stimato in oltre 23mila euro per i carichi che sono stati tracciati dai finanzieri, ma si ritiene che possa essere in realtà superiore ai 100mila. A conferma delle ipotesi investigative i riscontri degli appostamenti realizzati tra gennaio e febbraio del 2017: in due diverse occasioni gli operai erano stati fotografati sul versante francese del cantiere, mentre tagliavano le centine che sarebbero poi state caricate e rivendute come rottami. Si trattava in realtà di forniture nuove, appena consegnate. Anche nel giorno del maxi sequestro, il 24 maggio, un camion era stato fermato mentre trasportava materiale depredato dal cantiere.
Oltre al ferro, operai e funzionari della Grandi Lavori Fincosit avrebbero rivenduto ad alcuni privati della zona lo smarino, cioè i detriti di scavo usati come riempitivo per costruzioni: un illecito ambientale dal momento che questi detriti dovrebbero essere smaltiti come rifiuti speciali. In seguito agli accertamenti nel cantiere i finanzieri avevano appurato inoltre che il materiale esplosivo non veniva stoccato secondo le norme: in un locale erano accantonate otto scatole con 40 candelotti di dinamite da 25 kg ciascuna, insieme ad altri esplosivi e detonatori. Perfino all’interno della galleria in costruzione c’erano candelotti inesplosi: “Non lo sapevamo - ha detto il finanziere Casciani - quando siamo entrati per tagliare alcune centine e verificare la qualità dei materiali. Abbiamo corso un grosso pericolo perché le scintille avrebbero potuto innescare un’esplosione”.
Nell’udienza di venerdì prossimo, 21 maggio, sarà il turno del sindaco di Limone Piemonte Massimo Riberi e di altri due testimoni chiamati a deporre dalle parti civili.
Andrea Cascioli
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