Violenza sessuale e maltrattamenti, condannata una coppia di genitori di Beinette
Una Twin Peaks cuneese che prende avvio dalla scoperta di un diario della madre da parte delle due figlie. Una di loro ha denunciato i genitori, insieme a un nipotePer una coppia di genitori di Beinette, denunciata per maltrattamenti e - nel caso del marito - anche violenza sessuale, la Procura aveva chiesto pene pesantissime: sedici anni per lui, agricoltore, sei per la moglie, casalinga. Oggi è arrivata la condanna del tribunale in primo grado, pur mitigata: per l’uomo sono cinque anni e sei mesi di reclusione, per la donna quattro anni.
È la conclusione di una torbida vicenda di ricordi rimossi, diari nascosti, frasi che in famiglia si pronunciavano solo a mezza voce. Una Twin Peaks delle campagne cuneesi, verrebbe da dire, pensando alla genesi di tutta la storia: la scoperta di un diario, da parte di due ragazze ventenni. Appartiene alla loro madre e c’è scritto, di fianco al nome del papà, qualcosa di sconvolgente: “pedofilo?”. Il sospetto si riferisce a ciò di cui hanno parlato alcuni tra i numerosi fratelli e sorelle dell’imputato: “Avevo otto o dieci anni, - ha ricordato uno dei fratelli - ero tre anni più piccolo di lui. Dormivamo insieme nel letto matrimoniale, lui voleva toccarmi le parti intime. Ci è riuscito, più volte. Io poi ho voluto cambiare letto”. In casa, conferma una delle sorelle, c’era chi sapeva.
Quello che invece non si sapeva, ed è emerso solo dopo le indagini della polizia, è che l’uomo sarebbe ricascato nelle stesse pulsioni decenni più tardi, toccando un nipote minorenne: il ragazzino andava insieme allo zio a vedere i pulcini dell’allevamento, poi tornava a casa e trascorreva notti agitate. Di ciò che sarebbe accaduto i genitori non hanno saputo nulla prima degli interrogatori in Questura, e poco anche in seguito: “Disse che lo zio lo aveva toccato nelle parti intime, non volle rivelare altro”. Altrettanto hanno affermato altri due adolescenti che frequentavano quella casa, figli di parenti o amici di famiglia. “Giocavo con i bambini, ma non mi sono mai spinto oltre un abbraccio amichevole” ribatte l’accusato.
Ma le ombre si stendevano anche sui rapporti tra la coppia e le due figlie, una delle quali, la più giovane, ha scoperchiato il vaso di Pandora con la sua denuncia. Un padre “padrone” e una madre anaffettiva, secondo il quadro tratteggiato dal sostituto procuratore Alessia Rosati: nel suo famoso diario, dice la pm, le figlie venivano chiamate “le tipe” e le crisi di panico della più piccola erano bollate come “sceneggiate”. La ragazza sostiene di essere stata vessata fin dalla prima infanzia, da una mamma che la chiamava “strega”, perché concepita la notte di Halloween. Sarebbe stata messa a dormire in un letto con le sbarre di ferro fino all’età di sette anni: quando ormai era troppo cresciuta, era costretta a rannicchiarvisi. Anche la sorella lamenta punizioni eccessive: “Venivo colpita con mani, piedi e oggetti. A volte chiusa in cantina, o fuori casa di notte, per mezzora o più, perché non volevo mangiare la cena”.
Impossibile, ribattono le difese: i vicini sostengono di non essersi mai accorti di nulla, se le bambine fossero state fuori casa il loro cane avrebbe abbaiato. Anche il parroco del paese ha parlato di una famiglia normale: le ragazze frequentavano gli amici e l’oratorio, andavano in campeggio, si sono entrambe iscritte all’università. Non le hanno mai fatto mancare nulla, assicurano i genitori, nemmeno il sostegno delle psicologhe quando la più giovane aveva iniziato a soffrire di gravi disturbi d’ansia: sarebbero stati proprio i colloqui con una psicologa, anni dopo, a “risvegliare” in lei i traumi del passato. Madre e padre ritengono che la verità sia un’altra. Che dietro alla denuncia ci sia il profondo rancore della figlia “ribelle”, legato a una vicenda lavorativa: lei aveva aperto un locale insieme al fidanzato, i genitori l’avevano aiutata con le spese e i lavori, ma a un certo punto avevano detto basta. Lei, allora, avrebbe giurato di “fargliela pagare”.
Ora si è arrivati, almeno, a una verità giudiziaria. Per le due persone offese, la figlia e il nipote, ci sono risarcimenti quantificati rispettivamente in 30mila e 15mila euro. All’uomo è imposto il divieto di avvicinamento a luoghi frequentati da minori, per la durata di un anno, una volta scontata la pena.
Andrea Cascioli
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