Accecò da un occhio una sua amica: il giudice lo condanna a sei anni di carcere
La donna aveva raccontato di essere stata anche percossa durante la lite. Lui, un 51enne fossanese, ha sostenuto di averla colpita per sbaglioEra un rapporto complicato quello tra il fossanese A.C., classe 1970, e la ex amica che lo ha portato in tribunale, denunciandolo per lesioni gravi. A seguito di uno scontro con lui, avvenuto nel dicembre di tre anni fa, la donna ha addirittura perso un occhio: “Era violento, - ha raccontato - qualche sberlone me l’ha dato. Ma non ce la facevo a stargli lontana. Colpa mia”.
I due si erano conosciuti durante un ricovero psichiatrico, poi si erano reincontrati per caso e avevano iniziato a frequentarsi. Come amici, legati però da una relazione profonda e a tratti turbolenta: lei andava spesso a trovarlo a casa, qualche volta lo aiutava economicamente. Anche in quella sera di dicembre era a casa di lui: “È successo che ho ricevuto una telefonata, si è arrabbiato e ha iniziato a picchiarmi. Mi ha presa a sberle e poi mi ha messo un dito in un occhio e ha spinto. Questione di un attimo e non ho più visto”. Malgrado il vistoso gonfiore, sulle prime non sembrava che la lesione fosse tanto grave. Solo il mattino dopo, recandosi in ospedale, la donna avrebbe conosciuto la prognosi infausta: scoppio del bulbo oculare e conseguente perdita della vista da un occhio. In aula lei ha spiegato che A.C. l’aveva chiamata durante il ricovero e si era poi presentato una volta a casa sua, ma da quel giorno non ha più voluto avere contatti con lui. Per salvare almeno il bulbo oculare ha affrontato cinque diversi interventi in ospedale.
Credibile, per il procuratore aggiunto Gabriella Viglione, la versione della parte offesa riguardo ai fatti di quella sera: “Soprattutto, i riscontri medico legali ci dicono che quella lesione non può essere conseguenza di un urto accidentale lieve, come sostiene l’imputato. Un urto lieve non procura lo scoppio del bulbo”. Per A.C. l’accusa ha quindi chiesto la pena di sei anni e otto mesi, anche in considerazione del comportamento successivo: “Tralasciando la questione del risarcimento, non ha mai offerto una parola di scuse”. Anche il patrono della parte civile, avvocato Chiara Gerbaldo, si è associato alle richieste di condanna.
Per la difesa l’avvocato Giulia Dadone ha sostenuto la tesi della non intenzionalità dell’urto, sulla scorta di quanto riferito in aula dall’imputato: “I medici non hanno escluso che la lesione fosse compatibile con un fatto accidentale: A.C. è un uomo con una fisicità importante” ha sottolineato l’avvocato, stigmatizzando il fatto che in istruttoria “si è dipinto un quadro terrificante di percosse su cui non c’è riscontro né con referti né con denunce e che la stessa parte offesa afferma di non ricordare”.
Il giudice Alice Di Maio ha infine condannato A.C. alla pena di sei anni di reclusione e a una provvisionale di 30mila euro in favore della parte offesa, cui seguirà la quantificazione dei danni in sede civile.
a.c.
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