Accoltellò alla gola un dipendente rumeno, condannato a dieci anni
Per lo psichiatra, il 63enne di Salmour ‘si sente perseguitato dagli stranieri e messo da parte in famiglia. In carcere non si è pentito del suo gesto’Secondo lo psichiatra che l’ha visitato in carcere, G.S. “si sentiva ‘messo da parte’ in famiglia e svalutato a causa delle evidenti differenze rispetto al fratello”. Un senso di rivalsa covato per anni, fino all’8 maggio scorso, con la folle esplosione di rabbia nei confronti di un dipendente dell’officina meccanica gestita dalla famiglia a Sant’Antonino di Salmour.
Un cittadino rumeno di 47 anni, residente a Cherasco, è l’uomo a cui G.S. voleva ‘farla pagare’ per tutte le colpe che il mondo avrebbe accumulato nei suoi confronti: impugnando un coltello dalla lama lunga 6 centimetri lo aveva colpito con un fendente alla gola, inseguendolo poi con una grossa sbarra di ferro finché l’intervento del fratello aveva scongiurato il peggio.
A detta del dottor Enrico Bessone, il consulente psichiatrico della Procura, l’ex meccanico di 63 anni “ha un vissuto persecutorio nei confronti degli stranieri, in particolare albanesi e africani”. Anche per questo il rumeno che in qualche modo aveva ‘preso il suo posto’ nell’officina, dove fino al 2013 G.S. lavorava con suo fratello, si era trasformato in un bersaglio: “Ha riferito che già da un po’ di tempo pensava di fargliela pagare, perché il dipendente lo metteva in crisi facendogli domande sul suo denaro e dicendogli ‘tu non hai bisogno di lavorare, hai i soldi’”.
Battute innocue, al più benevoli sfottò, che nella mente di un individuo ‘semplice’ e insicuro, ossessionato dal body building e dalla forza fisica, sarebbero diventati il detonatore di una feroce volontà di colpire: “Se sono pentito? No, non sono pentito. A volte mi viene da piangere, ma non me ne frega niente” ha scritto nei mesi passati in carcere. Un’annotazione che lo psichiatra cita a testimonianza della scarsa capacità di rielaborare quel gesto: “L’imputato presenta un lieve deficit intellettivo, non tale però da pregiudicarne la capacità di intendere e di volere”.
“La coscienza che un’azione sia idonea a provocare la morte di qualcuno è sufficiente a contestare il tentato omicidio” ha spiegato il procuratore capo Onelio Dodero, motivando così la scelta di chiedere la condanna a dieci anni di carcere con un’accusa più grave rispetto a quella iniziale di lesioni gravissime: “G.S. ha mirato al collo di una vittima inerme e non durante una lite. Il successivo inseguimento con una spranga di ferro dimostra l’intento aggressivo, mentre non si può parlare di alcuna provocazione da parte dell'altro”. Concorde il difensore di parte civile, avvocato Roberto Ponzio, che ha rimarcato come “l’imputato non si è pentito né scusato. Parla soltanto di insulti che non sono davvero tali e la cui sostanza comunque è stata smentita sia da suo fratello che dalla vittima”.
L’avvocato difensore di G.S., Pier Carlo Botto, ha invece insistito sulla riqualificazione del fatto come lesione gravissima, a fronte dell’invalidità permanente riconosciuta alla parte offesa: “Si parla soltanto di uno sfregio, sebbene abbia leso un nervo superficiale. Se ci fosse stata volontà di colpire i danni sarebbero stati irreversibili”. La difesa ha inoltre richiesto la concessione degli arresti domiciliari, a fronte dell’assenza di precedenti giudiziari dell’uomo e dei problemi pregressi.
Il collegio giudicante presieduto da Marcello Pisanu ha infine condannato G.S. alla pena di dieci anni di carcere, con una provvisionale di 50mila euro da corrispondere alla parte offesa e danni da liquidare in giudizio civile. I giudici si sono riservati inoltre di decidere circa la concessione della detenzione domiciliare.
Andrea Cascioli
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