Assolta la donna che diede un numero di cellulare rubato ai carabinieri
La 49enne residente a Fossano era accusata di due furti, presso la casa di riposo e un Caf. Contro di lei anche le videoriprese, ma al processo c’è il “colpo di scena”Non sono bastati i riconoscimenti delle persone offese e le videoriprese che la mostravano presente sul luogo del primo dei due furti contestati a Fossano. Ma nemmeno, cosa ancor più clamorosa, il fatto che la donna avesse fornito ai carabinieri un numero di cellulare corrispondente a una sim rubata.
A salvare da una condanna che pareva certa la pregiudicata 49enne T.M., milanese di nascita e fossanese di acquisizione, è un “cavillo” giuridico: la donna era stata perseguita dalla Procura di Cuneo che le contestava due furti con destrezza, risalenti al gennaio e al febbraio dello scorso anno. Nel primo caso si era introdotta negli uffici dell’Opera Pia Sordella, ancora in epoca pre-Covid, fingendosi parente di un anziano affetto da demenza ed entrando nell’ufficio di un’educatrice. Qui avrebbe sottratto il cellulare della vittima che in seguito l’aveva sorpresa di fronte alla sua porta, senza però rendersi conto di nulla sul momento: “Ha detto che cercava l’ufficio del direttore per informarsi sull’inserimento in struttura di un parente” ha raccontato l’educatrice, accortasi solo in seguito della sparizione del telefonino.
Il secondo episodio, tre settimane dopo, era stato segnalato dalla dipendente di un Caf, dove T.M. si era recata per ritirare un Isee. La donna raccontava di essersi allontanata pochi secondi e di non aver più ritrovato il cellulare che aveva posato sulla scrivania: “Era il cellulare che avevo in dotazione come presidente di un’associazione che si occupa di volontariato con i bambini dell’ospedale. Ho anche telefonato a T.M. chiedendo se per sbaglio fosse finito nella sua borsa e facendole presente che si trattava di un numero utilizzato da una onlus ospedaliera. Lei mi ha garantito di non saperne niente”.
Per i due furti il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a due anni e tre mesi di reclusione, visti i numerosi precedenti specifici dell’imputata. La difesa si era limitata a chiedere l’assoluzione per il primo dei due episodi, quello della casa di riposo, stante il fatto che il cellulare non era più stato ritrovato. Nell’altro caso era stata la stessa T.M., all’epoca soggetta a una misura cautelare, ad “autodenunciarsi” fornendo ai carabinieri il numero di sim rubato per ricevere le notifiche giudiziarie.
Il giudice Elisabetta Meinardi tuttavia ha ritenuto che non ci fossero le condizioni di procedibilità nei confronti dell’imputata. Alla 49enne, come si è detto, si contestavano due furti commessi con destrezza e perciò perseguiti d’ufficio. Poiché questa aggravante è stata ritenuta insussistente, in assenza di querele da parte delle vittime si è pronunciata nei confronti di T.M. una sentenza di non doversi procedere.
a.c.
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