Crollo del viadotto di Fossano, le infiorescenze erano un campanello d’allarme?
I consulenti della Procura non concordano tra loro sul tema. Dubbi anche riguardo al punto d’inizio della corrosione: in dodici a processo per disastro colposoIl “colpevole” del crollo del viadotto La Reale ha già un nome preciso, almeno secondo i consulenti d’accusa: si tratta della boiacca, anzi della sua mancata stesura sui tiranti. Per un terzo della lunghezza degli otto cavi nella campata, si è appurato, mancava del tutto questo impasto di cemento e calce che serve a prevenire le fessurazioni. Una dimenticanza fatale, perché sarebbe stato proprio questo errore a provocare il disastro del 18 aprile 2017 lungo la tangenziale di Fossano: “I fili si sono rotti a uno a uno man mano che le fessurazioni avanzavano: i cavi ancora resistenti, sia perché non avevano ancora ceduto, sia perché non intaccati dalla corrosione, hanno sopportato carichi crescenti”. Fino al tracollo, appunto.
A chiarire la dinamica dell’evento è il professor Roberto Doglione, docente del Politecnico di Torino, che il giudice ha ascoltato in veste di consulente del pubblico ministero. Doglione ha deposto nel processo per disastro colposo a carico di dodici imputati: sei tecnici e operai delle aziende che eseguirono i lavori e sei funzionari dell’Anas. “L’attacco corrosivo non è venuto da fuori, ma da dentro” ha spiegato il professore. La mancata impermeabilizzazione ha influito, pur non essendo stata un fattore scatenante: “Le guaine erano collegate agli sfiati. In pratica, i tiranti erano a contatto con l’ambiente esterno e dunque con acqua e aria”. Da fuori, però, non si poteva vedere nulla: “Non c’è un modo per sapere cosa succeda nelle guaine, se non quando il ponte sta già cedendo e si iniziano a notare degli abbassamenti”. Che dire allora delle macchie esterne? “La penetrazione di agenti esterni e cloruri era assolutamente normale” risponde l’esperto. Per giunta sono state riscontrate sia zone senza boiacca, sia altre con la boiacca a vista in buono stato, ma con fessurazioni: “La spiegazione è che si trattava di una boiacca porosa”.
Questo dato potrebbe scagionare l’Anas, ovvero chi doveva badare alla manutenzione. Se non fosse che non tutti i consulenti sono concordi. Gianpaolo Rosati, professore di tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano, ritiene che le infiorescenze visibili all’esterno del ponte fossero un campanello d’allarme più che sufficiente: “Colature e infiorescenze non dovrebbero esserci. Le variazioni nello stato superficiale sono comunque indice di situazioni che potrebbero avere rilevanza strutturale nel futuro”. L’ingegner Rosati, interpellato come perito anche dal gip che si occupava del ponte Morandi di Genova, è convinto che quei segnali avrebbero dovuto indurre i tecnici a far scattare accertamenti più approfonditi: “Il ponte è crollato senza nessun carico, non c’erano mezzi che stavano transitando” ha ricordato. Per giunta, al momento del disastro quel manufatto non era nemmeno a metà del suo ciclo di vita, in teoria garantito per cinquant’anni.
A proposito di anni, l’altro nodo fondamentale è capire quando il processo corrosivo sia incominciato. Sul banco degli accusati ci sono sia coloro che eseguirono i lavori di costruzione negli anni Novanta, appaltati al consorzio Itinera, sia la ditta Pel. Car. che nel 2006 si occupò di rifare i giunti di dilatazione della campata. Il quesito è senza risposta, almeno secondo il parere di Doglione: “Non si conoscono i tempi di innesco. Avendo visto le guaine, la facilità con cui entrava l’acqua e le corrosioni scommetterei che il processo abbia avuto inizio undici anni prima del crollo e non ventiquattro. Ma non è una considerazione basata su evidenze scientifiche”. In ogni caso, aggiunge, l’unico segnale di degrado visibile è la presenza di colature di ruggine o di distacchi di cemento. E non è un fenomeno raro: “In Italia ci sono circa 100mila ponti a rischio”.
L’istruttoria proseguirà il 5 dicembre con l’esame di altri consulenti: saranno in tutto una quindicina, tra accusa, parti civili e difese, gli esperti chiamati a deporre in tribunale.
Andrea Cascioli
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