‘È entrato in officina e mi ha accoltellato alla gola senza motivo’
Vittima della drammatica aggressione un rumeno di Cherasco, che nel maggio scorso era stato colpito dal fratello del suo datore di lavoro a Salmour“Sapevo che con quell’uomo non dovevo scherzare. Non l’ho mai provocato”: conferma la sua versione in aula a Cuneo il cittadino rumeno 47enne, residente a Cherasco, che nel pomeriggio dell’8 maggio scorso fu vittima di un tentato omicidio da parte del 63enne G.S., fratello del suo datore di lavoro.
Il perché di quella folle aggressione, avvenuta in un’officina meccanica a Sant’Antonino di Salmour, è tuttora un mistero per l’uomo. A testimoniarne gli esiti ci sono però i segni visibili che gli ha lasciato addosso la coltellata inferta alla gola, provocandogli la paralisi di un nervo con conseguenze molto gravi, tra cui la deviazione della riga della bocca, il parziale danneggiamento della funzione visiva e la compromissione della capacità di percepire il gusto.
“Se l’intento non era quello di uccidere, era quantomeno quello di sfregiare” ipotizza la dottoressa Clara Bioletti, perito medico della pubblica accusa. Secondo la sua valutazione il colpo inferto all’angolo con la mandibola poteva avere conseguenze ben peggiori: “La lama è entrata di un centimetro o poco più, quanto basta per colpire un nervo con pochi millimetri di spessore. Se fosse arrivata poco più in basso avrebbe potuto recidere la carotide interna”.
Non concorda sul fatto che la ferita avesse forti probabilità di uccidere il dottor Lorenzo Varetto, incaricato dall’avvocato Pier Carlo Botto che assiste l’imputato: “La probabilità di ottenere la morte era in concreto molto bassa, paragonabile a quella che potrebbe derivare da una gambizzazione”. Il medico legale della difesa sostiene inoltre che la coltellata sia arrivata solo con il taglio della lama, e non “sia di punta che di taglio” come asserito invece dai periti della Procura e dalla parte civile.
Ma al di là delle valutazioni mediche, resta un gesto davvero difficile da spiegare. La vittima, costituitasi in giudizio con l’avvocato Roberto Ponzio, assicura di essersi sempre tenuto a debita distanza da quell’uomo: “Mi limitavo a salutarlo quando lo incrociavo e non avevo nessun rapporto con lui. Il mio datore di lavoro e sua madre mi avevano avvertito subito di fare attenzione a quel che gli dicevo, perché poteva interpretarlo ‘a modo suo’”.
In teoria G.S. figurava ancora come contitolare dell’officina meccanica insieme a suo fratello, ma di fatto aveva smesso di lavorare già dal 2013. Da tempo, del resto, gli improvvisi attacchi di rabbia e le reazioni imprevedibili del 63enne preoccupavano anche i suoi familiari, così come i vuoti di memoria cui era soggetto: sul cruscotto dell’auto addirittura aveva lasciato un biglietto con scritto ‘ferma allo stop’ per non rischiare di dimenticarsene, come a detta del fratello era già successo.
Quel giorno il dipendente era andato in officina a chiedere se ci fosse qualche compito per lui. Il suo datore di lavoro però era impegnato in ufficio e l’aveva fatto attendere. A un certo punto, G.S. sarebbe spuntato nel capannone con un coltello dalla lama lunga 6 cm: “Mi ha colpito prima ancora che potessi dire qualcosa. Poi ha preso una sbarra appoggiata al muro e ha urlato ‘adesso ti sistemo io’” racconta l’aggredito, aggiungendo di essersi accorto della gravità della ferita perché “il sangue schizzava dappertutto”.
Il fratello, attirato dalle grida del ferito, era accorso fuori dall’ufficio per strappare la spranga dalle mani di G.S., prestando i primi soccorsi al suo dipendente mentre la moglie avvertiva i Carabinieri. Nemmeno lui sa cosa abbia provocato tanta furia, anche se è convinto che qualche parola di troppo possa esserci stata: “Mio fratello è un tipo particolare, ma mi sembra strano che si sia arrabbiato senza motivo. Con quel dipendente però non c’era mai stato nessun problema, e nessuno screzio fra di loro”. Di certo c’è che G.S., a detta del fratello, era molto peggiorato negli ultimi anni, arrivando a scagliare oggetti e a sfondare le porte dell’abitazione in cui viveva con la madre dopo banali discussioni.
“Sono stato tormentato per un po’ di anni da quest’uomo, mi diceva che ero ricco, che avevo troppi soldi. Insisteva su queste cose” ha ripetuto l’imputato al termine dell’udienza, rifiutandosi di rispondere alle domande del procuratore capo Onelio Dodero e degli avvocati: “Altro non c’è da dire”.
Il processo è stato rinviato al prossimo 18 dicembre per il completamento dell’istruttoria e la discussione delle parti.
a.c.
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