I carabinieri restituiscono a Bra il tesoro rubato dei cercatori di reperti
Il “pezzo forte” è un sarcofago romano trovato a Pollentia: era nascosto nel capannone di un’azienda agricola. Recuperate anche 2.400 monete anticheÈ uno dei “tesori” più ingenti tra quelli recuperati negli ultimi anni dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino: il bottino dell’operazione “Soffio”, avviata nel 2020 con il coordinamento della Procura di Asti, consta di quasi 2.400 monete di epoca romana e non, vari reperti di pregio e soprattutto un sarcofago in marmo di età imperiale.
Questa preziosissima testimonianza delle vestigia della romana Pollentia è stata custodita, per oltre cinque anni, in un’azienda agricola nei dintorni di Bra, ben nascosta dentro un capanno per le attrezzature agricole. L’indagine è nata da un controllo in un’abitazione privata, dove è stato rinvenuto un primo nucleo di beni. Da lì si è arrivati a ricostruire una “rete” di cercatori di antichità, muniti di metal detector. Tre persone sono state processate e condannate davanti al tribunale di Asti, con sentenza oggi passata in giudicato.
Il sarcofago e altri reperti sono stati collocati presso il museo archeologico di palazzo Traversa a Bra, dove questo pomeriggio si tiene la restituzione ufficiale alla presenza del sindaco Gianni Fogliato, del comandante della locale compagnia carabinieri tenente colonnello Lorenzo Repetto, del comandante del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Piemonte e Valle d'Aosta, maggiore Ferdinando Angeletti, e dei rappresentanti della Soprintendenza per le Belle Arti e del ministero della Cultura.
“Il materiale, specie quello numismatico, è stato trovato mediante scavi clandestini” spiega il tenente colonnello Repetto, ricordando come il fenomeno del metal detecting sia particolarmente sviluppato in Piemonte: “Abbiamo un fenomeno più raffinato rispetto agli ‘spilloni’ presenti in altre parti d’Italia, l’uso del metal detector: non è di per sé illegale, ma può cozzare con alcune previsioni normative. Le ricerche in aree archeologiche o nei pressi sono vietate, perché tutto ciò che è sotto terra e sott’acqua, ci ricorda il codice civile, è proprietà dello Stato. Solo le ricerche in superficie sono lecite”. Il maggiore Angeletti parla di un’attività di raccolta “forsennata e indistinta”, specie da parte di uno degli indagati.
La maggior parte dei reperti sono stati raccolti tra Pollentia e Augusta Bagiennorum, nei territori delle odierne Pollenzo e Bene Vagienna, in base alle indicazioni fornite dagli stessi indagati. Non tutte sono attendibili: è il caso ad esempio di un dardo metallico, indicato come proveniente dalla zona di Cherasco, ma in realtà non facilmente reperito in Italia.
“Il reperto più eclatante è il sarcofago, ma abbiamo anche oggetti di ornamento personale e componenti di vestiario, amuleti, contenitori in vetro e altri reperti forse provenienti da ambiti funerari” spiega Angeletti. Spiccano un solido d’oro dell’imperatore Onorio databile tra il IV-V sec. d.C., due unguentari in vetro e numerosi oggetti bronzei decorativi provenienti verosimilmente da un corredo funerario di epoca romana, più diversi elementi architettonici in marmo proveniente dall’area dell’Egeo settentrionale e pietra, tutti riconducibili all’età romana imperiale. Tali manufatti, secondo i funzionari archeologici della Soprintendenza, sono risultati compatibili, per provenienza, con l’area dell’antico teatro romano, risalente al I sec. a.C.., di Augusta Bagiennorum. Molto rilevante la collezione numismatica che comprende circa 1.500 monete romane di età repubblicana e imperiale, otto monete greche (di cui una coniata ad Atene), una decina di dracme padane in uso presso i celti, 75 monete medievali e 700 di età moderna.
L’intervento dei carabinieri, di concerto ai funzionari ministeriali delle Soprintendenze interessate, ha permesso l’interruzione di un mercato clandestino che avrebbe fruttato oltre 120mila euro e la restituzione dei reperti recuperati. Alla collettività, però, è stato inferto un danno irreparabile, spiega l’archeologo Federico Barello: “L’archeologo si domanda non solo che moneta sia, quale sia la più rara o la più preziosa: la domanda giusta è ‘che danno è stato fatto, togliendola dal luogo in cui la storia l’aveva abbandonata?’. Un’informazione fondamentale l’abbiamo persa”.
Redazione
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