Insegue l’auto dell’ex moglie con la figlia a bordo e la sperona: condannato un pregiudicato
Alla vigilia del processo per maltrattamenti a suo carico, l’uomo aveva incrociato la macchina della moglie alle porte di Fossano e iniziato una folle rincorsaAveva incrociato una vettura provenire nel senso opposto e l’aveva osservata fare un’inversione a U, inseguirla e tentare di mandare fuori strada la sua auto. A bordo della Rover c’era un uomo, C.E., che ha scelto un modo davvero pericoloso di chiedere “un confronto” alla sua ex moglie alla vigilia del processo dove era imputato per maltrattamenti, violenza sessuale, induzione alla prostituzione e danneggiamento.
Il folle inseguimento alle porte di Fossano risale al luglio del 2019, ma solo nei giorni scorsi è arrivata la sentenza di condanna del giudice. L’autrice della querela, madre di cinque figli, viveva già da due anni in una comunità protetta dopo la separazione dall’ex marito. Sull’auto con lei quel mattino c’era una delle sue figlie minorenni, testimone della corsa protrattasi per alcune centinaia di metri tra via Cuneo e via Marconi, con speronamenti e sorpassi contromano in una rotonda.
L’inseguimento si era poi concluso quando C.E. era riuscito a far arrestare l’altro veicolo: “Mi ha tagliato la strada mettendosi di traverso e scendendo dall’auto. Io non potevo svincolarmi, a quel punto è sceso e ha cominciato a sbattere i pugni contro la mia macchina urlando ‘scendi che ti devo parlare’” ha raccontato al giudice la donna, costituitasi come parte civile. Opposta la versione dell’imputato: “Stavo andando a un colloquio di lavoro quando mi sono visto affiancare da un veicolo che non conoscevo: mi ha spinto fuori corsia passando da destra e non mi faceva rientrare, tanto che ho dovuto infilare una rotonda in contromano. Arrivati all’altezza di via Marconi mi sono accorto che al volante c’era la mia ex moglie”. Prima che sopraggiungessero i carabinieri C.E. aveva lasciato la scena. In seguito avrebbe denunciato la donna ma la sua querela è stata giudicata priva di fondamento: per questo alle accuse di violenza privata, tentata violenza privata e danneggiamento si è aggiunta quella di calunnia aggravata.
“Se l’auto della parte offesa avesse speronato quella di C.E. ci sarebbero segni compatibili. I danni subiti dalle due vetture invece avvalorano la versione dell’accusa” ha obiettato il sostituto procuratore Attilio Offman. Citando anche le testimonianze di diversi passanti e i filmati acquisiti dai carabinieri, il pubblico ministero ha chiesto la pena di tre anni di carcere per l’imputato. Alle richieste dell’accusa si è associata l’avvocato Tiziana Marraffa, patrono di parte civile, sostenendo che “C.E. in realtà cercava l’incontro con la moglie per intimorirla in vista del processo”. L’avvocato Tiziana Porcu, difensore dell’imputato, ha sottolineato invece che “nessuno dei testi ha riferito di aver visto C.E. dare calci e pugni all’altra auto”. Allo stesso modo, i fotogrammi delle telecamere in cui si vede l’auto di C.E. affiancare l’altra “dicono poco su quanto è successo. L’imputato non tenta di superare nessuno, si è solo spostato dalla carreggiata a seguito della folle manovra messa in atto dalla donna”.
Il giudice Sandro Cavallo, all’esito dell’istruttoria, ha condannato C.E. a due anni, due mesi e quindici giorni di carcere, nonché a risarcire i danni alla parte civile: la pena si aggiunge a quella per maltrattamenti che lo stesso imputato sta scontando.
a.c.
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