La Procura chiede sette condanne per il crollo del viadotto di Fossano
Da Stato, Provincia e Anas, in veste di parti civili, richieste per oltre 3 milioni di euro agli imputati: “Nessun dolo, ma lavori fatti alla carlona” sintetizza il pmIl crollo del viadotto “La Reale”? Un miracolo, se così si può dire. Parlando dal punto di vista delle conseguenze, almeno, giacché l’unica “vittima” fu una volante dei carabinieri, schiacciata un metro sotto terra da 44 tonnellate di cemento armato.
Lo hanno ricordato questa mattina i sostituti procuratori Pier Attilio Stea e Mario Pesucci, ripercorrendo a ritroso quanto accaduto dal pomeriggio del 18 aprile 2017, data del disastro sulla tangenziale di Fossano, fino al 1991, inizio dei lavori di costruzione. Le crepe in questa vicenda - è il caso di dirlo - dal punto di vista temporale sono due: la prima nel giugno 1992, quando vennero installati i cavi di precompressione sui tre conci che componevano il ponte. La seconda nel 2006, quando furono eseguiti i lavori di sostituzione dei giunti. Intorno a questi passaggi ruota la ricostruzione delle responsabilità penali, per le quali la Procura ha chiesto sette condanne e cinque assoluzioni nei confronti degli imputati.
Alla sbarra ci sono sei dirigenti dell’Anas e sei tecnici delle aziende che eseguirono i lavori. Per Roger Rossi, geometra della Ingegner Franco spa, la richiesta è di un anno e sei mesi: a lui è contestato il “peccato originale”, cioè di non aver controllato che le operazioni di iniezione della boiacca nei cavi di precompressione fossero effettuate a regola d’arte. Due anni di carcere sono stati proposti per Massimo Croce e Mauro Tutinelli, responsabile di cantiere e capocantiere della Grassetto, ma anche per il direttore dei lavori designato da Anas, l’ingegner Angelo Adamo, e per il suo coadiutore Marco Sibiglia: a tutti è imputata la colpa di non aver vigilato sull’andamento dei lavori. C’è poi, a parte, la posizione di Maria Rosalba Vassallo, responsabile tecnico della Pel.Car. spa, e di Giulio Accili, direttore del centro manutentorio di Anas all’epoca in cui la Pel.Car. eseguì i successivi lavori di manutenzione, nel 2006: per entrambi la pena ipotizzata è pari un anno e due mesi.
Escono dal processo, almeno nelle intenzioni della Procura, un altro dirigente della Ingegner Franco, Mauro Annibale Forni, l’amministratore unico della Pel.Car. Marcello Graziano e i tecnici Anas Valentino Pisani, Biagino Ciancio e Dario Cristian Ciminelli. Per questi ultimi si richiede una piena assoluzione, poiché si ritiene che eventuali ulteriori controlli, da parte loro, non avrebbero comunque scongiurato il disastro. Ma cosa ha portato davvero a quel crollo, sinistro presagio della tragedia del ponte Morandi che arrivò poco più di un anno dopo? La sintesi del pm Stea è impietosa: “Nessun dolo, ma una sciatteria nell’esecuzione di operazioni di carattere elementare, che hanno avuto conseguenze tragiche sia nel 1992 che nel 2006”. Ovvero, per dirla ancora più in soldoni, “lavori fatti alla carlona”.
La corrosione dei cavi fu provocata dall’ingresso dell’acqua nelle guaine, cioè dalla mancata impermeabilizzazione: “Dovuta alla non sigillatura dei tubi, ma soprattutto alla mancanza di boiacca” sostiene il procuratore. Tutti gli otto cavi erano mancanti di boiacca nel famigerato concio A, quello che cedette: “Questa situazione di scopertura dei cavi era presente anche in altre parti del viadotto, non era un fenomeno localizzato”. Nessuno sa con certezza se il vizio originario abbia covato fino al 2006 e sia “esploso” solo a causa dei successivi lavori. Sta di fatto, affermano gli inquirenti, che nemmeno quei lavori furono eseguiti a regola d’arte: “La perizia segnala che il massetto è stato realizzato senza la prevista presenza della canaletta di scolo delle acque, che doveva avere da progetto. Altro dato oggettivo: il telo di impermeabilizzazione non era stato ripristinato o inserito”.
Poi c’è il ruolo dell’Anas, nella duplice veste di accusato (i sei imputati) e accusatore (l’ente, costituito parte civile insieme all’avvocatura dello Stato e alla Provincia di Cuneo). Il direttore dei lavori Adamo ricorda che il suo ruolo non era quello di sovrintendere sul posto alle operazioni: troppi gli incarichi concomitanti. Un suo stretto collaboratore dell’epoca, aggiunge il pm, ha precisato che segnalare criticità all’Anas sarebbe stato visto come uno sgarbo: “Così, però, si mette una foglia di fico su una situazione di fatto. La versione sostenuta da Sibiglia e Adamo non può essere accettata, perché il ‘non volevo creare problemi’ è una logica interna, ma loro erano pagati anche per quella funzione”.
Se il risvolto penale della vicenda è limitato - per tutti gli imputati si chiede la sospensione condizionale della pena - quello risarcitorio può essere ben più pesante. Lo Stato, rappresentato dall’avvocato Emilio Barile La Raia, chiede una provvisionale da 1 milione di euro, subito esecutiva. La Provincia di Cuneo valuta la provvisionale in 500mila euro e i danni complessivi in un milione e 109mila, sulla scorta della consulenza tecnica menzionata dall’avvocato Monica Binello. Infine l’Anas, che chiede a sei imputati (quelli che non erano suoi dipendenti) una provvisionale da un milione e 204mila euro, danni a parte. E le responsabilità dell’ente? “C’è un problema di prevedibilità e conoscenza allo stato dell’arte” risponde l’avvocato Giulio Calosso: “Non c’era stato il Morandi, era concretamente prevedibile che un ispettore pensasse al rischio crollo, in assenza di segnalazione? Io non credo”. Lunedì prossimo, l’8 luglio, sarà il turno delle difese.
Andrea Cascioli
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