Pedinava la compagna e le inviava video di lei ubriaca: condannato per stalking
In tribunale anche il figlio minorenne della coppia: “Dissi a mia madre che papà la cercava con un machete, ma volevo solo punirla per avermi abbandonato”Non erano ancora separati, ma di fatto la relazione era già al capolinea quando lui aveva cominciato a seguire gli spostamenti della compagna e a inviarle messaggi vocali con insulti e minacce. Una persecuzione, secondo la donna. “Volevo solo che mi dicesse addio, mi sarei rifatto una vita con mio figlio” ribatte lui, finito a processo e infine condannato per stalking: un anno e quattro mesi, la pena inflitta dal giudice Elisabetta Meinardi, più un risarcimento di quattromila euro alla vittima.
“Un rapporto malato, ma questo non giustifica le minacce, i pedinamenti, gli schiaffi e le lesioni” ha sintetizzato il pubblico ministero Anna Maria Clemente, chiedendo una condanna a quattro anni. Prima del maggio 2022, il periodo a cui risalgono i vari episodi contestati, c’era già stata una denuncia dopo un accesso in pronto soccorso, quando la coppia conviveva a Bene Vagienna: lei aveva poi deciso di non dare seguito alla cosa. Entrambi avevano un passato difficile alle spalle, lui anche dei trascorsi in carcere. Tra gli atti che la Procura ha considerato persecutori c’è l’invio di video sul cellulare della donna: la ritraevano ubriaca per strada a Fossano.
Ad assumersene la responsabilità è stato il figlio minorenne della coppia: li aveva spediti lui al papà, ha spiegato, volendo punire la mamma “perché mi aveva abbandonato”. Sempre per lo stesso motivo, una sera, il ragazzo aveva avvisato la madre di fare attenzione al padre, uscito di casa “con un machete” per cercarla. Non era vero niente, ha ammesso davanti al giudice: “Ero molto arrabbiato”. Nessuna accusa contro il padre: “Papà ha carattere un po’ forte, ma la rabbia ti fa fare cose che non vuoi”. Anche questa, a giudizio del pm, suona però come una conferma indiretta: “L’aggressività del padre viene traslata al figlio”. L’imputato, ha aggiunto la rappresentante dell’accusa, aveva “un comportamento assillante e opprimente, tipico di un soggetto che vuole gestire totalmente la vita di un’altra persona”.
A corroborare le accuse le testimonianze dei colleghi di lei, del datore di lavoro, del suo partner dell’epoca: “Diceva di avere paura di essere aggredita e di avere paura anche per me” ha detto quest’ultimo. Dopo vari interventi dei carabinieri e la denuncia, era arrivato infine il divieto di avvicinamento: “Tanti testimoni affermano di aver visto lividi e segni sul corpo di lei” ha affermato la legale della parte civile, sottolineando che “nei messaggi ci sono sfuriate, scenate di gelosia, insulti e minacce”. Per quei messaggi, ma solo per quelli, l’uomo si è assunto ogni responsabilità: “Ho mandato vocali pesanti e brutti. Ero arrabbiato, vi chiedo scusa per le schifezze che avete ascoltato”.
Il resto, sostiene il suo difensore, erano soltanto tentativi di ottenere un chiarimento definitivo che la ex gli avrebbe sempre negato: “Diverse volte ci ha detto che lui non sapeva che la convivenza fosse finita e soprattutto che fosse finita la relazione, e che lei non se la sentiva neanche di comunicarglielo”. Sul telefono, ha aggiunto, “non lo ha mai bloccato, alle chiamate ogni tanto rispondeva e ogni tanto no, dicendo solo ‘lasciami in pace’”.
Andrea Cascioli
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