Sparatoria a Fossano, la versione dell’imputato: “La pistola? Ce l’aveva solo chi ci ha colpiti”
Per i fatti del 2015 sono a processo per tentato omicidio due impresari edili albanesi, padre e figlio. L’altro protagonista della vicenda ha patteggiato una condannaHa ribadito in aula la versione fornita agli inquirenti l’impresario edile R.K., cittadino albanese residente a Fossano, accusato insieme al padre A.K. di aver ingaggiato una sparatoria con un conoscente la notte del 29 novembre di sei anni fa.
Nell’ultima udienza del processo per tentato omicidio a suo carico, tenutasi la scorsa settimana, il giovane ha confermato di aver avuto una violenta lite in un locale del centro di Fossano con T.G., l’altro protagonista di questa vicenda. Il litigio, scaturito a suo dire da qualche battuta di troppo, sarebbe degenerato in rissa poco dopo: “Quando è arrivato mio padre ha visto che ero scioccato e gli ho spiegato cosa fosse accaduto. Lui ha telefonato a T.G. per avere la sua versione e quest’ultimo mi ha incolpato per quanto successo e ha detto di trovarsi nella sua officina”. Insieme al padre A.K., anche un fratello minore e un amico lì presente avevano accompagnato R.K. a quell’appuntamento privo, a suo dire, di intenzioni ostili: “Mio padre si è raccomandato, dovevamo solo chiarirci e scusarci. Lui aveva un rapporto di amicizia con il padre di T.G., il quale lo aveva aiutato quando era arrivato dall’Albania”.
Qualcosa però sarebbe subito andato storto dal momento in cui i quattro, scesi dalla loro auto, avevano incrociato T.G. e l’uomo che lo accompagnava nei pressi dello stabilimento Unifarma di via Mondovì: “Mentre uscivo dalla macchina ho sentito un primo sparo, T.G. urlava ‘non vi avvicinate o sparo’. Mio padre si è accasciato urlando per il dolore, io sono corso incontro a T.G. e gli ho assestato alcuni pugni perché smettesse di sparare. Non ho pensato però a disarmarlo, la pistola è rimasta sempre nelle sue mani”. Con quella stessa arma, infatti, l’uomo avrebbe fatto fuoco ancora prima di risalire in auto e colpito R.K. a una gamba. Alla domanda del sostituto procuratore Attilio Offman circa le fratture riportate da T.G. alle dita, R.K. ha confermato di non aver cercato di disarmare il suo antagonista. Nessuno dei quattro albanesi avrebbe avuto con sé pistole o armi di altro genere, stando alle dichiarazioni dell’imputato.
A.K. era stato in seguito ricoverato al Pronto soccorso di Savigliano: la perquisizione domiciliare a suo carico non aveva apportato alcun elemento utile. D’altro canto T.G. - oltre alle lesioni alle mani - aveva riportato una ferita da arma da fuoco alla mascella, giudicata incompatibile con un autoferimento nel referto medico: “Non so come possa essersela procurata” ha risposto R.K. a riguardo. La versione dell’altro protagonista di questa vicenda è piuttosto difforme: il meccanico fossanese ha patteggiato una condanna a due anni e otto mesi ma si è anche costituito parte civile contro i due presunti feritori. Quella sera, ha sostenuto davanti ai giudici, il gruppo di albanesi sarebbe stato composto da sei persone e non quattro: costoro, guidati da A.K., lo avrebbero subito sopraffatto e pestato con un tubo di metallo. Solo a quel punto lui avrebbe estratto la pistola e sparato prima in aria e poi alla gamba di R.K., per rifugiarsi infine nella sua auto. Qui sarebbe stato a sua volta raggiunto da un proiettile alla mascella dopo aver sentito A.K. dire al figlio di prendere la pistola.
Sulla validità delle opposte ricostruzioni i giudici saranno chiamati a pronunciarsi il prossimo 7 luglio, quando si attendono la discussione finale e la sentenza.
a.c.
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