Bastonate, pugni e calci all’ex amico per l’auto danneggiata: un garessino a processo
Secondo il querelante, l’uomo avrebbe preteso 50mila euro di ‘risarcimento’: ‘Diceva di aver ucciso dodici uomini in ex Jugoslavia e che io sarei stato il numero 13’“Aveva preso a chiamarmi ‘numero 13’. Diceva che quando faceva il mercenario in ex Jugoslavia aveva già ucciso dodici persone e che una in più non avrebbe cambiato nulla”: a rievocare di fronte al giudice la disavventura patita nel marzo 2018 è un 44enne di Garessio, che sostiene di essere stato non solo minacciato a più riprese ma anche picchiato e bastonato da R.F., un suo compaesano.
Tra i due i rapporti erano amicali, almeno fino a quel giorno, ma qualcosa si era incrinato dopo che la presunta vittima dell’aggressione aveva danneggiato l’auto che lo stesso R.F. gli aveva lasciato in custodia. Il proprietario della vettura aveva preteso un incontro per chiarire la questione e l’altro aveva accettato, senza sospettare che dietro al nervosismo del suo interlocutore si celasse una minaccia: “Quando è giunto in macchina sul luogo dell’incontro ha afferrato dal lato passeggero un bastone di 90 cm e me l’ha puntato alla gola, cominciando a urlare. Ero paralizzato dalla paura, mi ha colpito con bastonate, pugni e calci”.
Il danno all’automobile, ha precisato il 44enne, era già stato ripianato a sue spese dal meccanico. Ma R.F. avrebbe preteso molto di più: “Voleva che acquistassi la sua auto per 25mila euro e che ne intestassi un’altra, di pari valore, a sua moglie. Mi intimava anche di sparire da Garessio, assicurava che se non avessi pagato avrebbe ucciso mio padre e una mia sorella, tenendomi per ultimo ‘per farmi soffrire’”. Il duro confronto, intervallato da botte e minacce, si sarebbe protratto per oltre un’ora prima che sopraggiungesse un’amica e convivente dell’aggredito: “Vedendola arrivare si era tolto un guanto e l’aveva salutata, faceva finta di nulla e nascondeva il bastone”. La donna ha confermato di aver incrociato R.F. e di averlo visto sfilarsi un guanto da lavoro, senza scorgere alcun bastone: “Quando me ne sono andata il mio amico voleva seguirmi ma l’altro gli ha detto ‘aspetta, noi dobbiamo ancora finire il nostro discorso’. Dieci minuti dopo l’ho visto entrare in casa pallido e terrorizzato, mi disse di essere stato aggredito e minacciato”.
Anche lei afferma di aver visto i segni delle percosse sul corpo dell’uomo: “Aveva un segno sul collo, una serie di lividi sulle spalle e sul costato: erano regolari e netti, non sembravano essere stati lasciati con le mani”. Solo il mattino dopo lui si era deciso a farsi visitare al Pronto soccorso di Mondovì, dove però - come riscontrato dall’avvocato di R.F., Mario Bovetti - sarebbero state refertate solo le lesioni sul collo: la prognosi dei sanitari era stata fissata in dodici giorni. In ogni caso, la testimone ha raccontato che il suo convivente “era terrorizzato dall’idea che R.F. venisse a cercarlo ancora a casa. Nei quindici giorni successivi non voleva uscire e assumeva tranquillanti, aveva perfino chiesto ai suoi colleghi di lavoro di poter svolgere l’orario pomeridiano per non rincasare di notte”.
Un collega, gestore del locale pubblico in cui lavorava anche il 44enne, ha confermato di aver visto quel giorno R.F. aggirarsi con un grosso bastone e chiedere notizie dell’uomo. Ancora per un paio di giorni dopo l’episodio raccontatogli dal suo collega, ha aggiunto il teste, sarebbe tornato nel locale per incontrarlo.
Nel procedimento si è costituito come parte civile anche l’autore della querela, rappresentato dall’avvocato Andrea Naso. Il 4 febbraio 2021 verrà ultimato l’ascolto dei testimoni.
a.c.
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