Ciclista 38enne morì al bike park di Viola, assolto il gestore
L’accusa aveva chiesto una pena di due anni per la morte di Andrea Pastor. Nel 2021 si scontrò contro una rampa dopo un salto sulla pista di downhill“Credo che più di così non potessi fare. Non mi capacito di quanto è successo, ma ho la coscienza a posto”: poche parole prima della sentenza da Fabrizio Raimondi, assolto quest’oggi dall’accusa di omicidio colposo per la morte di Andrea Pastor.
Per l’imprenditore cebano, dal 2015 gestore del bike park di Viola St. Gréé e in seguito anche del complesso “Porta della Neve”, l’accusa aveva chiesto due anni di reclusione. Due i profili di colpa individuati dal sostituto procuratore Alessia Rosati: “Una riguarda gli obblighi informativi, l’altra l’obbligo di segnalare gli ostacoli. Raimondi avrebbe dovuto in primo luogo assicurare che l’ostacolo fosse segnalato e riservato solo ad esperti, comunque fornendo istruzioni su come affrontarlo”. Andrea Pastor, sposato e padre di un figlio, aveva 38 anni quando morì sulla pista di downhill. Era la sua prima volta a Viola, ma lui era tutt’altro che uno sprovveduto: vigile del fuoco, in servizio anche a Cuneo per un periodo, era un ciclista provetto. Praticava inoltre trekking, arrampicata e sci ed era un esperto speleologo.
Quel giorno era venuto dalla sua Pigna, nell’entroterra imperiese, insieme a quattro amici: “Lui non era un amante di queste rampe artificiali, - ha ricordato la moglie - la montagna gli piaceva al naturale: quel giorno ci è andato per fare contenti gli amici”. Il downhill è una disciplina nell’ambito del mountain biking che si svolge su terreni ripidi e sconnessi, con salti e ostacoli di vario genere: una sorta di motocross sulla bici. “Uno sport adatto a tutti, non è fatto necessariamente per soggetti spericolati” ha precisato nella sua discussione l’avvocato di parte civile Bianca Gasco. Per i difensori di Raimondi, gli avvocati Leonardo Roberi, Paolo Adriano ed Emanuele Rossi, gli incerti fanno invece parte di quella passione estrema. E di sicuro ne fanno parte i salti come il Saltimbanco, quello su cui Pastor cadde senza più rialzarsi: “Il salto ‘col vuoto in mezzo’ - dice Roberi - è tipico del downhill. Ce ne sono tanto nei tracciati delle gare quanto nei bike park”.
La sentenza con cui il giudice Alberto Boetti ha assolto il gestore del circuito (“il fatto non costituisce reato” è la formula scelta) è destinata a fare giurisprudenza. A quanto pare, infatti, di precedenti penali specifici non ce ne sono: “Questo mi fa supporre che non si siano mai risolti in quest’ambito gli svariati incidenti che succedono sulle piste” ha argomentato il difensore. Di incidenti, anche abbastanza gravi, a Viola ne erano già accaduti. Uno solo quindici giorni prima della tragedia, un altro pochi mesi prima. Per ironia della sorte, in questo secondo caso a infortunarsi era stato un giovane compaesano di Pastor, genero di uno degli amici che lo accompagnavano il 3 ottobre del 2021.
“Se avessi visto quel salto non lo avrei fatto” ha dichiarato in aula il ragazzo. Parole riprese dal pm per avvalorare la tesi accusatoria, ovvero che “l’ostacolo Saltimbanco era intrinsecamente pericoloso per la sua geometria, perché impediva al biker colto da ripensamento istintivo di evitarlo”. Falso, ribatte la difesa: chi fosse stato colto da un timore repentino poteva svoltare sulla cosiddetta “chicken line”, il percorso sicuro a lato della pista principale dove passò anche uno degli amici di Pastor, testimone oculare della caduta. Sulla sua testimonianza, come sul verbale della visita necroscopica (una vera autopsia non venne mai eseguita), accusa e difesa si sono scontrate a lungo. È emerso anche che la pista Saltimbanco era stata realizzata in modo abusivo: sintomo di “generale sciatteria”, per la Procura. Ancora più dura la parte civile: “Se Raimondi avesse rispettato la legge e tenuto chiusa la pista Saltimbanco, Pastor non sarebbe morto”.
L’utilità dei cartelli (quello che segnalava l’ostacolo raccomandava “velocità adeguata”) e le eventuali misure preventive che il gestore avrebbe potuto adottare erano però il vero tema: “Pastor - dice la pm - non ha fatto altro che impegnare una rampa sul percorso, frenando perché si era spaventato. Poteva succedere a chiunque. Non si può dire che ‘se l’è cercata’, o che pagando quel biglietto ha immaginato di poter morire e accettato questo rischio”. Ma la difesa non ha accusato la vittima di imprudenza, sottolineando semmai l’imprevedibilità di una tragedia che - sostengono gli avvocati - nessun cartello e nessun “limite” di velocità avrebbe potuto scongiurare: “Quando si va a sciare nessuno ci invita a fare attenzione alla pista nera o a un salto, come in nessuno sport. Quel salto è un’attrazione della pista: era ben costruito, ben segnalato e soprattutto facoltativo”.
Andrea Cascioli
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