La “baby gang” dei treni di Mondovì alla sbarra: “Davamo fastidio, l’ho capito tardi”
Due cugini a processo per minaccia: avrebbero cercato di rintracciare una capotreno, bloccando i convogli. “Era un gioco, non volevamo farle del male” dice uno di loro“Purtroppo ho capito tardi che davamo fastidio, ne sto pagando le conseguenze non solo per le mie azioni specifiche ma per quelle derivate da altri”: la confessione viene da un ragazzo appena maggiorenne, accusato di aver fatto parte della “baby gang” che per anni ha angariato il personale ferroviario e tanti pendolari che viaggiavano tra Mondovì e Ceva.
S.R., italiano residente a Lesegno, è oggi a processo insieme al cugino F.R. per le minacce rivolte a una giovane capotreno. La “colpa” della donna sarebbe quella di aver denunciato un altro membro del branco: quest’ultimo si era risentito per la richiesta di indossare la mascherina e aveva iniziato ad inveire contro la dipendente di Trenitalia, formulando anche minacce di morte. Era il settembre 2022, vigevano ancora le restrizioni Covid. Qualche tempo dopo il gruppo si era presentato in stazione a Mondovì, per due volte, cercando di rintracciare la “colpevole”. Alla capostazione in servizio era stato detto chiaro e tondo che la cercavano “per fargliela pagare”: “Volevano vendicarsi” ha confermato la testimone.
L’imputato invece nega che la volontà fosse quella: “Ero in stazione, sentivo i ragazzi chiedere di questa persona, urlavano il suo nome e ridevano: era un gioco che facevamo. Quando sono arrivato non ho capito perché chiedessero di lei, so che un ragazzo era stato denunciato”. Il giovane nega anche di aver visto qualcuno bloccare la partenza del treno, un regionale diretto da San Giuseppe di Cairo a Fossano: l’accusa di interruzione di pubblico servizio è formulata nei confronti di suo cugino. “Non ricordo esattamente di quel giorno” ha detto l’accusato, unico dei due, finora, a rendere l’esame.
“Penso che mi abbiano scambiato per qualcun altro” dice: “Mi conoscono anche con nome e cognome perché spesso, uscendo con questo gruppetto, ho creato problemi in stazione: magari tenevano il treno fermo o infastidivano, anche io sono stato maleducato”. Il macchinista del regionale ricorda di aver individuato subito, in stazione, un terzetto di giovani “già conosciuti perché creavano disagi, danni ed eventuali ritardi”. Al pomeriggio gli era stato detto “stai attento, se non ci fai salire stasera vi aspettiamo qua”, da una persona poi riconosciuta come S.R.: gli altri facevano da spalla, senza dire nulla.
Anche un’altra capostazione afferma di aver assistito ai fatti, mentre era fuori servizio: “Oggi sono abbastanza tranquilla, ma due anni fa avevo paura anche a tornare a casa. Ho ricevuto più volte minacce verbali, allusioni su dove abitavo. Nel tragitto tra la stazione e casa mia, duecento metri circa, a volte un gruppo di ragazzi mi gridava insulti: più volte mi hanno urlato ‘primo piano’, come a dire ‘sappiamo dove abiti’”. In questo gruppo, ha precisato, almeno S.R. era sempre presente: “Non avrei mai adottato comportamenti del genere verso una donna” risponde lui.
Terminata l’istruttoria, nella prossima udienza il 10 aprile si attende la discussione del caso.
Andrea Cascioli

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