Minacce a una capotreno, solo una condanna nella “baby gang” di Mondovì
Due cugini di Lesegno erano a processo, uno è stato assolto. Per l’altro imputato, poi condannato a sei mesi, il pm aveva chiesto una pena più altaSi conclude con un’assoluzione e una condanna il processo ai due presunti capi della “baby gang” di giovanissimi che per un periodo avevano imperversato sui treni tra Mondovì e Ceva. I due cugini di Lesegno, S.R. (classe 2003) e F.R. (classe 2004), erano accusati entrambi di minaccia: per il più giovane, poi assolto per non aver commesso il fatto, c’era anche un’imputazione di interruzione di pubblico servizio.
S.R., condannato a sei mesi dal giudice Emanuela Dufour, è accusato di essere anche l’autore delle “famose” scritte comparse nell’atrio della stazione di Mondovì: “Lo sbirro ti arresta, il pm ti accusa, il giudice conferma ma a noi nessuno ci ferma”. Il pm era partito da quell’episodio nella sua requisitoria, al termine della quale aveva chiesto una condanna a due anni e sette mesi per il 22enne e a due anni e sei mesi per il cugino minore. I due erano stati individuati come presunti artefici di una grave minaccia a una giovane capotreno, “colpevole” di aver presentato querela contro un altro membro del gruppo pochi mesi prima. “Volevano vendicarsi” conferma una capostazione. A un macchinista avrebbero addirittura mostrato la foto del profilo Facebook della donna, chiedendo informazioni su di lei e aggiungendo: “Stai attento, se non ci fai salire stasera vi aspettiamo qua”.
“Quel fatto era una spedizione punitiva: c’è la logica del branco, siamo forti perché siamo un gruppo” ha osservato a questo riguardo il rappresentante della pubblica accusa. Entrambi i ragazzi hanno negato ogni addebito. Solo S.R. ha sentito, comunque, il bisogno di scusarsi: “Purtroppo ho capito tardi che davamo fastidio, ne sto pagando le conseguenze non solo per le mie azioni specifiche ma per quelle derivate da altri”. Il coimputato F.R. ha citato a discolpa la misura cautelare da cui era stato attinto in quel periodo: “A quei tempi io ero ai domiciliari”.
Molteplici gli episodi menzionati dai ferrovieri, risalenti al 2022, cioè lo stesso periodo delle minacce. “Avevo paura anche a tornare a casa” ha ammesso una capostazione: “Ho ricevuto più volte minacce verbali, allusioni su dove abitavo. Nel tragitto tra la stazione e casa mia, duecento metri circa, a volte un gruppo di ragazzi mi gridava insulti: più volte mi hanno urlato ‘primo piano’, come a dire ‘sappiamo dove abiti’”. In questo gruppo, ha precisato, almeno S.R. era sempre presente.
“A Mondovì si parlava chiaramente di una baby gang che operava in quel tratto di ferrovia” ha ricordato il pm Alessandro Borgotallo nella discussione finale. Per le difese, tuttavia, non c’è certezza circa le effettive responsabilità dei due cugini. “Comprensibile che il personale fosse stufo della situazione, ma non si può condannare un ragazzo sulla base della personalità” ha osservato la difesa di S.R., mentre la legale del cugino F.R. ha concluso: “Vogliamo pensar che questi ragazzi abbiano messo la testa a posto. Diversamente dagli altri della compagnia che continuano a comportatasi allo steso modo, ora loro stanno cercando di imboccare la giusta strada”.
A carico del 22enne condannato c’è anche l’obbligo di risarcire Trenitalia e i due membri del personale ferroviario costituitisi in giudizio contro di lui. Ad ognuna delle tre parti civili andrà una provvisionale di 750 euro, più il pagamento delle spese legali e un ulteriore risarcimento da quantificare in sede civile.
Andrea Cascioli

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