Mondovì, perde il lavoro e brucia due camion dell’azienda dei rifiuti: condannato un pregiudicato
L’uomo, 50enne di origini catanesi, aveva agito con la complicità di un collega dopo aver saputo che il suo contratto non sarebbe stato rinnovatoDa principio si era pensato alla ritorsione di un concorrente per un appalto appena vinto, o addirittura a un’intimidazione mafiosa ai danni della cooperativa sociale Proteo che gestisce - tra le altre cose - il servizio di raccolta rifiuti a Mondovì e in vari altri comuni della provincia.
Si trattava invece della vendetta di un ex dipendente, 50enne di origini catanesi residente a Mondovì, per il mancato rinnovo del contratto di lavoro. La prima querela da parte della Proteo era stata presentata nel giugno 2019: sulla cancellata del centro di raccolta rifiuti a Villafalletto era stato ritrovato un pupo siciliano con la testa staccata, poi a distanza di due giorni una cinquantina di proiettili. Le indagini tuttavia non avevano portato all’individuazione di nessun possibile responsabile e si erano concluse con l’archiviazione.
Ben più gravi i fatti dell’ottobre successivo, quando due furgoni appartenenti alla ditta erano stati dati alle fiamme nella rimessa di Mondovì. Per questo reato P.M., l’ex dipendente rinviato a giudizio, ha ammesso le proprie responsabilità affermando di aver agito per rabbia: aveva appena saputo che il suo contratto della durata di dieci mesi non sarebbe stato rinnovato. Il giorno stesso, ha raccontato l’imputato, era andato a pranzo con due colleghi ed era poi tornato in azienda facendosi accompagnare da uno di loro, G.P., indicato dall’accusa come complice. Con una tanica di benzina recuperata nell’auto di G.P. aveva provato ad appiccare il fuoco ai veicoli, senza riuscirci. Si era quindi recato in un distributore dei paraggi per acquistare cinque euro di carburante e questa volta era riuscito nel suo intento.
P.M., pluripregiudicato per reati contro il patrimonio, ha chiesto e ottenuto il processo con rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena. Per lui il pubblico ministero Raffaele Delpui aveva proposto la condanna a un anno e dieci mesi di carcere: nella requisitoria è stato menzionato il fatto che l’imputato avesse avuto problemi psichiatrici in passato. Già prima di appiccare il rogo aveva proferito frasi di minaccia in azienda: “mi mettete nelle condizioni di fare il figlio di p…” avrebbe affermato, menzionando anche la possibilità di “ritirarsi in cappuccio”. Questa frase, secondo l’accusa, conterrebbe un riferimento gergale all’eventualità di commettere crimini intimidatori. Anche per G.P., stante il suo ruolo di supporto all’azione criminale, era stata chiesta una condanna a dieci mesi.
La difesa di P.M. ha rimarcato l’assunzione di responsabilità dell’uomo, sconvolto dall’imminente perdita del posto di lavoro. Quella di G.P., invece, ha sostenuto l’estraneità ai fatti del presunto complice che durante il tentativo di innescare l’incendio sarebbe sempre rimasto in auto, dopo aver cercato di dissuadere il collega. Il giudice Marco Toscano ha stabilito una pena di sei mesi per P.M. e di due mesi e venti giorni per G.P., convertita per quest’ultimo nella misura della libertà controllata per la durata di dieci mesi. Il responsabile materiale del rogo dovrà anche versare 15mila euro di provvisionale alla Proteo, costituitasi in giudizio con l’avvocato Marco Ivaldi, in attesa di una quantificazione dei danni in sede civile.
Pur ammettendo i fatti contestati in riferimento all’incendio, P.M. aveva smentito di essere lui l’autore delle intimidazioni verificatesi quattro mesi prima a Villafalletto: l’uomo ha affermato che quello stabilimento era già stato oggetto di azioni analoghe da parte di alcuni nomadi della zona.
a.c.
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