“Non ho messo io i bocconi avvelenati”: parla il 58enne a processo per tentata uccisione di animali
Le “esche” erano comparse a Saliceto pochi giorni dopo una strage di pecore da parte dei lupi. L’imputato si difende: “Ho piazzato lì solo una carcassa di capriolo”“Ho trovato un capriolo morto per strada e l’ho portato nel bosco: non so nulla delle esche avvelenate”: a parlare è il 58enne C.V., imputato di tentata uccisione di animali perché ritenuto responsabile di aver disseminato bocconi di carne avvelenata nei pressi di Madonna della Neve, a Saliceto.
A ritrovare le “esche” erano stati alcuni turisti in visita al santuario, che avevano allertato i carabinieri. Attaccati agli alberi c’erano palle di pelle di animale ripiene di carne. A poca distanza erano appese due zampe posteriori di capriolo con tutta la pelliccia, ormai in putrefazione. I militari avevano ricondotto il ritrovamento a una strage di pecore avvenuta in frazione pochi giorni prima, nello stesso giugno 2019: i lupi avevano sbranato un gregge di diciotto ovini, a poca distanza dalle case.
È stato il proprietario delle pecore a menzionare per prima C.V., sostenendo che quest’ultimo gli avesse mostrato circa un mese prima la fotografia di un animale appeso a un albero: “Diceva che si trattava di un capriolo che aveva trovato a bordo strada e che se ci fossero stati predatori nella zona avrebbero attaccato quella carcassa piuttosto che aggredire gli animali vivi”. L’imputato, residente nel Savonese, ha un’abitazione di famiglia a Saliceto: di fronte al giudice ha confermato di aver appeso e fotografato il capriolo. “Ho pensato di toglierlo dalla strada perché non era un bello spettacolo e perché so che nel bosco una bestia morta è una festa per quelle che potranno nutrirsene” ha spiegato.
Il 58enne tuttavia nega di avere qualcosa a che fare con i bocconi avvelenati trovati a poca distanza. Il pubblico ministero Luigi Dentis non ha creduto alla sua versione, domandando una pena di quattro mesi: “Sui campioni - ha sostenuto - c’è la medesima mano: non è plausibile che qualcuno avendo visto il capriolo abbia deciso di andare lì apposta per collocare le esche in un secondo tempo”.
Questa è invece la tesi sostenuta dalla difesa, con l’avvocato Massimo Badella: “La logica porta a ritenere che le esche siano state posizionate dopo l’aggressione dei lupi. Dalle indagini è emerso infatti che i resti del capriolo erano più vecchi rispetto ai bocconi. Inoltre, nel mese e mezzo che è trascorso da quando C.V. aveva portato la carcassa nel bosco non si è avuta notizia di un solo animale avvelenato”. Secondo il legale, a rendere inverosimile la colpevolezza del suo assistito è anche il fatto che il cane di famiglia sarebbe stato a rischio e che comunque C.V. non aveva a disposizione quel veleno: “L’Endosolfan non è un prodotto di libero commercio, bisogna avere un patentino per acquistarlo. Su questo aspetto non si è indagato”.
La sentenza del giudice è attesa per il 13 luglio prossimo.
a.c.
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