“Salvini antisemita”: ecco perché il giudice di Cuneo ha assolto De Benedetti
Depositate le motivazioni della sentenza nel processo contro l’ex editore di “Repubblica”, denunciato dopo gli attacchi al leader leghista durante il Festival della TvSono state depositate le motivazioni della sentenza con cui il giudice del tribunale di Cuneo Emanuela Dufour ha assolto lo scorso 15 marzo l’ingegner Carlo De Benedetti, ex editore di La Repubblica e patron del gruppo Espresso.
La vicenda fa riferimento alla querela per diffamazione che era stata presentata nei suoi confronti da Matteo Salvini, anche in veste di leader della Lega. Oggetto della denuncia, una serie di “bordate” che l’imprenditore vicino al Partito Democratico - attuale editore del quotidiano Domani - aveva pronunciato durante l’edizione 2018 del Festival della Tv e dei Nuovi Media di Dogliani. Nel corso di un’intervista con Lilli Gruber sul futuro dell’Europa, l’ingegnere aveva definito Salvini “xenofobo, antisemita, antieuropeo”, tacciandolo inoltre di aver “festeggiato Orban in Ungheria” e di essere “finanziato da Putin”. Soprattutto l’accusa di antisemitismo ha motivato il segretario del Carroccio, all’epoca in procinto di varare il governo gialloverde con i Cinque Stelle, a denunciare De Benedetti: “Non l’accettavo e non l’accetto tuttora, la ritengo un’infamia pesante” aveva precisato Salvini durante la sua deposizione in tribunale a Cuneo.
Il giudice aveva pronunciato nei confronti di De Benedetti un’assoluzione con la formula “il fatto non costituisce reato”. Nelle cinquantotto pagine della motivazione, il magistrato ha riepilogato i pronunciamenti più importanti in merito della Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, concludendo che “il significato delle frasi percepite dal pubblico presente” a Dogliani fosse “radicalmente diverso dal tenore delle parole estrapolate dal loro contesto e diffuse dalle varie testate giornalistiche e dal Twitter della persona offesa”.
L’allora 83enne editore, esponente di una famiglia ebraica torinese costretta a riparare dalle persecuzioni razziali in Svizzera, aveva motivato il suo giudizio in questo modo: “Ho trovato dei manifesti a Milano con la mia faccia in cui si diceva che io finanziavo i barconi di immigrati che vengono in Italia, perché poi votano Pd”. I manifesti in questione erano stati affissi nel 2017 su una quindicina di sedi milanesi del Pd da Forza Nuova, formazione neofascista che l’ingegnere avrebbe ritenuto accostabile alla Lega. A sostegno di questa ipotesi, la difesa ha ricordato come Lega e Forza Nuova avessero stretto un accordo elettorale nel comune laziale di Fiumicino appena pochi giorni prima dell’intervista incriminata.
Per il giudice ciò è bastato a concludere che “il giudizio critico, a carattere soggettivo, espresso dall’imputato faceva riferimento a eventi accaduti”: anche le molteplici dichiarazioni pubbliche di Salvini contro George Soros e il proposito di abolire la legge Mancino sono state interpretate come circostanze che potevano avvalorare i timori di De Benedetti, perlomeno a fronte del suo vissuto personale. “Del tutto inconferenti” rispetto all’accusa di antisemitismo sono stati ritenuti i documenti che comprovano la vicinanza del leader leghista allo stato di Israele: rileva, in questo caso, la distinzione tra antisionismo come contrarietà alle politiche israeliane e antisemitismo come generica avversione agli ebrei. Riconducibili all’esercizio di cronaca, a prescindere dal loro tenore offensivo, sono secondo il tribunale anche le frasi sull’essere stato “finanziato da Putin”, perché espresse in formula dubitativa.
Contro la sentenza si era pronunciata, già nell’immediatezza, la difesa di Salvini: “È una sentenza politica ed è potenzialmente pericolosa” aveva dichiarato l’avvocato Claudia Eccher, preannunciando l’appello. La giunta regionale dell’Anm ha stigmatizzato queste parole con un comunicato: “La sentenza in oggetto - si legge nella nota pubblicata dall’organismo rappresentativo delle toghe - pare espressiva dell’impegno, della professionalità e dell’assoluta terzietà della dottoressa Dufour, magistrato che da sempre ha dimostrato di non voler essere ricondotta - direttamente o indirettamente - a qualsiasi fazione politica”.
Andrea Cascioli
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