Assolto dalle accuse di mobbing un imprenditore di Torre San Giorgio
Il titolare della Idrocentro spa era stato denunciato da un ex dipendente, più volte licenziato. Per lui l’accusa aveva chiesto sei anni di detenzioneI rappresentanti dell’accusa e della parte civile lo hanno descritto come “un padre padrone” per i suoi operai. La difesa come un imprenditore abituato a seguire in prima persona tutte le problematiche dell’azienda che lui stesso ha fondato più di quarant’anni fa e che dalla sede originaria di Torre San Giorgio è arrivata a contare una settantina di filiali, sparse in sei regioni italiane, con centinaia di dipendenti.
I fatti per cui A.C., titolare della Idrocentro spa, si trovava a processo a Cuneo riguardano un lunghissimo contenzioso con un suo ex dipendente di nazionalità albanese, per tre volte licenziato e per due volte riassunto. Ma non è tutto. L’uomo sosteneva infatti di essere stato vessato in ogni modo dal suo ex datore di lavoro, tanto che alla fine gli è stata riconosciuta un’invalidità del 35% per danni psichici.
“Condotte protrattesi fin dal 2006 con minacce e intimidazioni che avevano come unico scopo quello di mortificare la persona offesa” ha riassunto il pubblico ministero Alessandro Borgotallo, formulando la pesante richiesta di sei anni di reclusione per l’accusa di mobbing. A supportare l’accusa, la perizia fornita dal professor Edoardo Favaretti del Ciam (Centro Italiano Anti Mobbing) che riconduceva al trattamento subito sul luogo di lavoro la patologia psichiatrica diagnosticata all’operaio: “Veniva definito ‘un piantagrane’ dal suo capo, che istigava gli altri dipendenti a isolarlo. Oltre alla pretestuosità dei licenziamenti emerge una volontà di ‘stufare’ il suo antagonista con trasferimenti di reparto e umilianti cambi di mansione, costringendolo a occuparsi da solo delle pulizie del capannone”. In questo modo, ha aggiunto il procuratore, l’industriale avrebbe inteso punire l’attività sindacale svolta da chi “aveva la ‘colpa’ di far notare che certe cose in azienda non andavano bene, relativamente all’inquadramento lavorativo di alcuni dipendenti, al rispetto delle norme di sicurezza e alle denunce sugli infortuni”.
Il mobbing non è sanzionato come reato autonomo nel nostro ordinamento, ma è una fattispecie giuridica dei maltrattamenti in famiglia puniti dall’articolo 572 del codice penale. Per questo occorre che venga provata l’esistenza di un rapporto di ‘parafamiliarità’ tra la presunta vittima e l’autore della condotta. Rapporto che secondo il patrono di parte civile era senz’altro sussistente, a dispetto delle grandi dimensioni dell’azienda: “C’era una frequentazione pressoché quotidiana tra A.C. e la parte offesa. Quest’ultimo, sebbene inquadrato come ‘quarto livello’, veniva costretto a ramazzare. Anche sua moglie fu demansionata e adibita a compiti inferiori”. Oltre alle vicende dei licenziamenti - l’ultimo è tuttora sub iudice - sono stati ricordati anche i tre procedimenti penali per minacce e ingiurie ai danni dello stesso soggetto, uno dei quali scaturì da alcune frasi pronunciate davanti al gip.
Per la difesa, l’intero processo sarebbe in realtà il frutto di “un conflitto giuslavoristico portato avanti in varie sedi da una persona che conosce bene gli strumenti legali e che non si trova in quello stato di soggezione psicologica che è il presupposto del mobbing”. Per quanto riguarda i trasferimenti e i cambi di mansioni, si è segnalato che “nel periodo contestato, tra il 2012 e il 2017, non è avvenuto alcun cambiamento di mansione. L’assegnazione ad altro reparto si è verificata solo nel 2018 e su richiesta esplicita del caporeparto che si trovava a corto di personale. L’ultimo licenziamento avviene in conseguenza di un infortunio che ha reso il lavoratore inabile ai compiti che l’azienda aveva necessità di fargli svolgere”. Dubbi sono emersi anche sulla correttezza della diagnosi fornita dal responsabile del centro antimobbing: “Non c’è stato un accertamento per stabilire quale sia la causa della malattia psichica lamentata dall'operaio, che senza dubbio soffre di reali disturbi”.
Respingendo sia l’ipotesi del mobbing che la richiesta subordinata di riconoscere A.C. responsabile di lesioni personali, il giudice Marcello Pisanu ha assolto l’imprenditore con formula piena.
a.c.
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