Bastonate alla figlia di sette anni perché va male in matematica: condannata una mamma
La donna di origini cinesi non accettava il fatto che la bimba non riuscisse a fare i compiti. La difesa: “Nella sua cultura è normale ricorrere a punizioni corporali”La sua colpa era quella di non riuscire a risolvere gli esercizi di matematica assegnati per compito a scuola. Per questo la mamma era solita riprenderla, qualche volta però eccedendo nelle punizioni, come conferma una delle maestre: “Un mattino, nel maggio 2019, la bambina si è presentata a scuola con un’escoriazione sulla fronte. Ha detto che la mamma l’aveva picchiata col bastone ‘perché non sapeva i numeri’”.
Protagoniste della vicenda, avvenuta in un comune del Saluzzese, sono una mamma di origini cinesi e una bimba che all’epoca aveva appena sette anni e frequentava al prima elementare. La piccola, che chiameremo Lucia (nome di fantasia), è l’ultima di tre fratelli. Le insegnanti dell’istituto scolastico che frequentava, prima di essere allontanata dalla famiglia, ne hanno un ottimo ricordo: “Era una bambina curata, sempre molto tranquilla, rispettosa nei confronti degli insegnanti e amichevole con i compagni” dice la maestra di italiano. Anche dal punto di vista del rendimento non c’erano grossi limiti da evidenziare, eccetto - appunto - le difficoltà con la matematica: “In italiano andava molto bene, ha imparato in fretta a leggere e scrivere”. Sua mamma si recava sovente ai colloqui con i docenti, dove appariva fin troppo preoccupata dai risultati della figlia: “Una mediatrice culturale ci aiutava a tradurre. La signora era attenta ai rendimenti di Lucia, dava però l’impressione di volere di più di quanto lei potesse dare”.
Già prima di presentarsi con quell’escorazione in fronte, in effetti, Lucia aveva raccontato alle maestre di essere stata sgridata severamente dalla mamma, sempre per la questione dei compiti di matematica. In alcune occasioni la donna l’aveva percossa con uno scacciamosche, circostanza confermata anche dai fratelli più grandi. Dopo l’episodio di maggio la scuola aveva allertato i servizi sociali. Si era optato per un affidamento consensuale durante l’estate, così la bimba aveva trascorso alcuni giorni della settimana con un’altra famiglia doveva veniva aiutata a svolgere i compiti. Successive segnalazioni, però, avrebbero indotto gli assistenti sociali ad optare per l’allontanamento dal nucleo familiare.
“A ottobre ci sono stati altri due episodi” ricorda la maestra: “In un’occasione l’alunna aveva detto di essere stata picchiata di nuovo, questa volta sul braccio. La mia collega di matematica aveva visto un arrossamento. Due giorni più tardi, mi aveva riferito di essere stata percossa con il manico rotto di una scopa, mostrandomi i segni”. Poco dopo era stato disposto l’allontanamento. A tutt’oggi Lucia vive in una residenza protetta, dove la mamma può incontrarla una volta a settimana senza restrizioni. In corso c’è però un procedimento per la revoca della potestà genitoriale, oltre al processo penale che l’ha vista imputata per abuso dei mezzi di correzione.
La signora si è difesa ammettendo di aver sbagliato, ma di non aver mai usato il bastone contro sua figlia: “È capitato che le dessi leggeri schiaffetti sul sedere quando non si impegnava abbastanza a fare i compiti di matematica”. La questione non è comunque dirimente per il pubblico ministero Rosa Alba Mollo, che ha chiesto un anno di reclusione: “In più occasioni le insegnanti hanno visto segni addosso alla minore, da lei giustificati come conseguenza delle botte subite dalla mamma. Poco conta se ci fosse un bastone o meno”. “I figli non sono una nostra proprietà e non fanno ciò che vogliamo, ma ciò che possono fare” ha sottolineato il legale di parte civile, l’avvocato Mario Conti: “Questa bambina, ci dicono gli assistenti sociali, aveva problemi che non sono stati riconosciuti e anzi sono stati trattati come motivo di punizione”. L’avvocato Stefania Martino, legale dell’imputata, ha ricordato che la vicenda partiva da un’ipotesi molto più grave, l’abuso sessuale, poi venuta a cadere. “Dobbiamo fare i conti con la cultura dell’imputata: in Cina è normale correggere, anche dal punto di vista fisico, i bambini” ha rimarcato il difensore.
La pena finale è stata quantificata dal giudice Sandro Cavallo in tre mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e l’obbligo di versare un risarcimento da quantificare in separato giudizio.
a.c.
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