Muratore a processo per un insulto sul muro e sull’auto dell’ex cliente
Accade nel Saluzzese, dove l’autore della denuncia aveva trovato in bella vista il più classico degli epiteti piemontesi. L’imputato, però, si dice estraneo a tuttoGaleotta fu la scritta sul muro di un’abitazione, dal tenore inequivocabile. A vergarla, secondo il destinatario dell’epiteto, sarebbe stato un intonacatore che aveva lavorato per lui anni prima e col quale erano sorti screzi in corso d’opera. L’espressione incriminata contiene la più classica delle offese in piemontese, per intenderci la “parola con la p”.
Nel dicembre di tre anni fa un uomo residente in un piccolo centro del Saluzzese l’aveva trovata un bel mattino uscendo di casa, scritta in maniera piuttosto appariscente sul muro verso la strada. Anche la sua auto era coperta di scarabocchi in nero, tracciati - si può supporre - dalla stessa mano anonima. Su chi potesse aver espresso in quel modo il proprio disappunto né il diretto interessato né i suoi familiari nutrivano, sul momento, alcun sospetto. È indubbio però che quella persona ce l’avesse proprio con lui: “Nessuna altra auto era stata imbrattata, neanche la nostra seconda macchina che usava mio figlio” ha spiegato la moglie del denunciante.
Solo qualche settimana dopo, per coincidenza il giorno dell’Epifania, la famiglia avrebbe maturato una sorta di rivelazione a riguardo: “Mio marito ha visto una chiamata e un messaggio sul cellulare da un numero non memorizzato in rubrica. Una volta a casa è squillato il telefono, lui ha risposto e chi ha parlato all’altro capo si è qualificato come avvocato di una persona di nostra conoscenza”. Si trattava per l’appunto del muratore che ben quattro anni prima aveva eseguito alcuni lavori di intonacatura presso l’abitazione di famiglia. Sebbene l’autore della telefonata sostenesse di essere un avvocato, l’altro lo aveva riconosciuto senza troppe difficoltà: “Chiedeva quali prove ci fossero contro il suo assistito, ma poi ha cominciato a parlare in prima persona”. Con quella persona in effetti c’era stato un diverbio, poi tutto sembrava essersi appianato. O forse no.
A sostegno dell’ipotesi accusatoria, i carabinieri hanno acquisito le registrazioni di alcune videocamere di sorveglianza che avevano catturato il passaggio dell’auto del sospettato, negli stessi minuti in cui un soggetto (irriconoscibile) veniva visto tracciare la scritta sul muro. Abbastanza, sostiene il pubblico ministero Anna Maria Clemente, per chiedere una condanna a cinque mesi di reclusione per il deturpamento del bene immobile e il danneggiamento dell’auto: “L’imputato conferma gli attriti con la persona offesa, così come conferma di essere passato davanti a casa sua quella notte”. I sospetti, sostiene il pm, trovano conferma nelle immagini delle telecamere e anche nella telefonata del finto avvocato effettuata giorni dopo. Per il legale di parte civile, avvocato Maddalena Mellano, sarebbe corretto riqualificare l’imbrattamento nel reato di diffamazione, tenuto conto dei “connotati di particolare dispregio” dell’espressione e della sua chiara riferibilità: “L’accusato ha collegato il suo transito anomalo a una questione di gelosia con la compagna, che però in quel momento si trovava altrove al lavoro. Un tentativo debole di costituirsi un alibi”.
Parla invece di “una commedia degli equivoci” l’avvocato Flavio Manavella, difensore dell’imputato: “Il passaggio dell’auto avviene all’una e 22 di notte, tre minuti dopo l’ingresso in paese. Peccato che l’orario in cui si vede l’imbrattamento della parete sia l’1,15. Non c’è coincidenza temporale”. Quanto alla telefonata, si spiegherebbe in base al fatto che “i carabinieri avevano effettuato un controllo in casa sua giorni prima, sostenendo che l’ex cliente avesse lo avesse indicato come sospetto. Lui ha telefonato, in modo irrituale, perché voleva capire quale accusa gli venisse mossa”. Sulla natura del dissidio tra i due, infine, aveva riferito in aula lo stesso imputato: “Nel 2015, mentre eseguivo i lavori da lui, mi capitava di mangiare sul posto e il mio fornelletto faceva vapore sul muro. Il cliente aveva notato l’alone e mi aveva accusato di aver orinato su una parete, ma non era vero. Ci conoscevamo da anni, gli ho poi chiesto scusa per questi contrasti”.
Il giudice si pronuncerà sulla vicenda il prossimo 28 novembre.
a.c.
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