Paga il truffatore per smascherarlo in tribunale. Alla fine arriva la condanna
Una madre single nella trappola del sedicente avvocato dell’Iren: “Mi ero spaventava perché avevo davvero una bolletta in arretrato. Ho pagato per poterlo denunciare”Una truffa smascherata prima ancora che andasse a buon fine, con la vittima che sceglie di “abboccare” solo per poter dimostrare il raggiro: “Ho pagato per incastrarlo, così non avrebbe più fatto del male a nessuno” ha spiegato al giudice la donna contattata, nell’agosto 2021, da un sedicente avvocato dell’Iren.
L’uomo affermava di aver ricevuto mandato dalla multiutility dell’energia per il recupero di una bolletta arretrata del valore di 168 euro. Soldi di cui pretendeva il saldo immediato, minacciando l’avvio di una causa penale molto più costosa se il pagamento non fosse avvenuto entro la giornata. La destinataria delle telefonate è una 58enne residente a Verzuolo, che al tempo lavorava per un’azienda dell’agroalimentare: “Avevo buttato giù alle prime telefonate, perché dalla sala macchine, dove mi trovavo, era proibito usare il telefono. Poi mi mandò questo messaggio in cui diceva che avevo rifiutato la sua telefonata per tre volte e che se non avessi risposto subito e pagato quella bolletta la sera stessa avrebbero iniziato la causa penale. Mi spaventai, perché avevo in effetti una bolletta in arretrato”.
La signora, madre di un figlio, dice di aver paventato le possibili ritorsioni, in particolare l’eventualità di affrontare una causa che a detta del suo interlocutore le sarebbe costata “anche 500 euro”: “Io sono separata e guadagno poco più di quella cifra in un mese”. La puzza di bruciato si sarebbe annusata poco dopo, perché “l’avvocato” aveva fornito il numero di una Postepay per il saldo: “Ho capito che era una truffa” ha confermato la testimone. Da parte sua, comunque, c’era la volontà di andare avanti: “Il giorno dopo sono andata a denunciare, volevo avere le prove così quell’uomo non avrebbe più truffato nessuno. Avevo lo scontrino per dimostrarlo”.
I carabinieri sono risaliti così a Edoardo Sarica, residente a Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria. La carta Postepay era stata attivata a suo nome ad aprile e non c’erano denunce di smarrimento. Anche la sim da cui erano partite le telefonate era intestata a lui: di nuovo, nessuna denuncia per smarrimento o furto del telefono da parte dell’indagato.
Per il presunto artefice dell’operazione il pubblico ministero Gianluigi Datta aveva comunque chiesto l’assoluzione, non ravvisando la presenza di quegli “artifici e raggiri” che la legge richiede per poter parlare di truffa. “È una situazione che presenta tutti gli estremi della truffa, ma col truffato che se ne accorge e in un certo senso la agevola” concorda l’avvocato Davide Calvi, difensore del reggino. Il giudice Emanuela Dufour, tuttavia, ha ritenuto integrato il reato di tentata truffa, riqualificando l’imputazione e condannando Sarica alla pena di sette mesi.
Per la truffata “consapevole”, non costituitasi in giudizio, c’è solo la soddisfazione di aver fatto condannare il sedicente avvocato. La signora affermava di aver subito un danno ulteriore da tutta la vicenda, perché era stata richiamata dalla sua azienda per aver risposto al telefono durante il lavoro e poi non rinnovata.
Andrea Cascioli
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