Accuse di caporalato contro il responsabile del CAS di Racconigi
Secondo la Procura avrebbe intascato “rimborsi” dagli immigrati che lavoravano come braccianti in un’azienda agricola: “Se pioveva dovevano recuperare alla domenica”Cinque euro al giorno, il prezzo che ciascun richiedente asilo avrebbe pagato per lavorare come bracciante in un’azienda agricola. Turni di nove ore al giorno in media, partendo alle prime luci dell’alba: l’accordo era che se avesse piovuto avrebbero comunque recuperato la giornata, lavorando di domenica.
L’inchiesta avviata dai carabinieri di Racconigi nel novembre 2020 ha portato a un processo per caporalato contro il responsabile del CAS (centro di accoglienza straordinario) che aveva sede nell’ex hotel Carlo Alberto. M.M, dipendente della cooperativa Liberitutti di Torino, è ora chiamato a difendersi dalle accuse per cui ha già definito la propria posizione il titolare dell’azienda agricola Fratelli Capellino di Costigliole Saluzzo. L’imprenditore ha patteggiato una condanna, previo pagamento di contributi e retribuzioni non versate ai braccianti.
Tutto era partito, ha spiegato in aula il maresciallo Silvano Tavella, da una serie di proteste animate dagli occupanti del centro di accoglienza: l’oggetto del contendere era il vitto servito dalla cooperativa, ma si era presto scoperto che c’erano anche altre ragioni per lamentarsi. Quando gli immigrati avevano iniziato a presentarsi ai carabinieri, prima su convocazione e poi in maniera spontanea, c’era stato chi aveva tirato in ballo una questione di ore lavorative non pagate: “Portavano statini con le indicazioni delle giornate e delle ore di lavoro prestate presso aziende agricole del territorio. Alcuni li avevano stilati davanti a noi” ha ricordato il maresciallo. I richiedenti asilo erano autorizzati a svolgere lavori subordinati, ma secondo l’Ispettorato del Lavoro non avrebbero potuto essere accompagnati con i mezzi della cooperativa: cosa che invece sarebbe accaduta fino a fine 2018, quando il responsabile del CAS si era rivolto a un’azienda di autolinee per organizzare i trasporti in bus da Racconigi a Costigliole.
C’è di più: “Nel corso degli accertamenti avevamo scoperto che il servizio non era effettuato a titolo gratuito” ha testimoniato il funzionario dell’Ispettorato Danilo Cercone. A titolo di “rimborso spese di viaggio”, il gestore del CAS avrebbe preteso da ciascun lavoratore la somma di cinque euro al giorno. Rispetto a quanto dichiarato dall’azienda agricola, inoltre, i braccianti sostenevano di aver lavorato di più: “Le retribuzioni erano in linea con gli accordi vigenti, ma le buste paga non segnavano retribuzioni proporzionate alla quantità di ore lavorative prestate”. L’ispettore precisa comunque di essersi basato nelle sue valutazioni solo su quanto dichiarato dagli immigrati. Il ruolo di M.M. sarebbe confermato dal fatto che era stato lui stesso a interessarsi della questione dei trasporti, contattando l’azienda privata e concordando l’emissione di fatture a nome del datore di lavoro Capellino.
Il luogotenente della Guardia di Finanza di Fossano Pasquale Monni ha riferito sugli ulteriori accertamenti relativi ai conti bancari dell’imputato: “C’erano parecchi versamenti in contanti con banconote di piccola taglia. Venivano effettuati circa una volta al mese, in media, a volte un po’ più ravvicinati”.
Il 1 febbraio il giudice ascolterà i primi otto braccianti e il loro datore di lavoro.
Andrea Cascioli
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